L’ economista Giulio Sapelli spiega che «la politica economica del governo Meloni è in continuità con quella di Mario Draghi, ma su credito d’imposte, bollette, appalti dimostra una maggiore sensibilità verso le piccole e medie imprese» ma aggiunge che forse si poteva fare di più cercando altre coperture. «Il bilancio dello Stato commenta - non è come quello di una famiglia o di un’impresa: è una cosa diversa e ti dà molte possibilità di manovra». Sul price cap trovato dall’Ue è ottimista: «Se a ciò si aggiungerà anche e soprattutto l’acquisto comune a livello europeo - chiosa - sarà certamente un passo avanti».

Professor Sapelli, condivide la tesi per cui la politica economica del governo Meloni, vuoi per le regole europee vuoi per i vincoli del Pnrr, sia in linea con quella del governo Draghi?

La condivido ma aggiungo qualcosa che in parte la modifica. La politica economica del governo Meloni è in continuità con quella di Mario Draghi, ma su credito d’imposte, bollette, appalti dimostra una maggiore sensibilità verso le piccole e medie imprese. E anche verso il lavoro autonomo. È un passo molto importante che ispira fiducia nei cittadini. Apprezzo anche il lavoro fatto sul cuneo fiscale. Tant’è vero che sono rimasto stupito dai sindacati i quali, pur tenendo giustamente alta l’attenzione sui temi a loro più cari, non hanno valorizzato gli interventi sul cuneo fiscale. Il governo è riuscito a diminuirlo ma in modo tale da non intervenire sulle pensione dei lavoratori. Non è cosa da poco.

In queste settimane si è discusso molto di tetto al contante, uso del Pos, bonus cultura. Che opinione si è fatto su questi temi?

Sul Pos hanno fatto bene a non aprire un contenzioso con l’Unione europea. Quanto al tetto al contante, pensare che serva a combattere l’evasione fiscale è risibile. Bisogna instaurare un principio di controprestazione e servizi sociali efficienti per convincere la gente a pagare le tasse. Se la sanità pubblica funziona, la gente le tasse le paga e anche volentieri. Quelli del bonus cultura invece sono soldi sprecati. Non serve a nulla dare una pioggia di sussidi in base a una logica populista e peronista che si è vista solo in Argentina. Dobbiamo dare soli a biblioteche, archivi, teatri e cinema.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha detto che avrebbe voluto fare di più ma che non ci sono abbastanza coperture. Insomma la coperta è sempre corta a prescindere dal colore politico del governo?

Diciamo che bisognerebbe conoscere bene il bilancio dello Stato. I governi Ciampi, ad esempio, lavorarono molto su delle anticipazioni di cassa e scoprirono tutte le varie pieghe del bilancio, così da trovare le coperture. Il bilancio dello stato non è come quello di una famiglia o di un’impresa: è una cosa diversa e ti dà molte possibilità di manovra. In fondo ci siamo inventati la Cassa depositi e prestiti, quindi abbiamo la possibilità di essere più creativi.

Cosa manca in questa legge di Bilancio che invece si sarebbe aspettato dal governo?

Questo governo ha perso l’occasione di fare un prestito nazionale irredimibile, attraverso titoli di Stato, come si è fatto dopo la resistenza al fine della ricostruzione, nel periodo di Luigi Einaudi presidente della Repubblica. Al tempo anche Togliatti invitò il suo elettorato a sottoscriverlo. Così come quando abbiamo costruito l’autostrada del sole abbiamo tassato la benzina, in maniera che doveva essere temporanea, oggi servirebbe un veicolo finanziario che serva a fare un prestito, che tutti dovrebbero sottoscrivere: giovani e vecchi, ricchi e poveri.

Nel frattempo in Ue si è arrivati anche a un tetto al prezzo del gas, che ha portato alla diminuzione del prezzo sulla Borsa di Amsterdam. È la via giusta per contrastare il potere ricattatorio di Putin?

L’accordo sul gas è una cosa molto buona. Io non lo condivido, perché come noto penso che servirebbero dei contratti take or Pay, ma se al price cap si aggiungerà anche e soprattutto l’acquisto comune a livello europeo sarà certamente un passo avanti. Sottolineo che quello che fa davvero scendere il prezzo del gas è la quantità offerta sul mercato. Bisogna aumentare la produzione di gas negoziando con la Norvegia, che dopo la Russia è il maggiore fornitore. E bisogna scavare, trivellare e fare nuovi giacimenti, invertendo la follia della transizione verde a tutti i costi. Occorre ritornare ai fossili, tra cui il primo per la decarbonizzazione è il metano.

Insomma che voto dà a questa manovra?

Mi esprimo in trentesimi e do un buon 26. Che per un vecchio professore universitario come me è un voto enorme.