Guardare avanti e superare l'estenuante conflitto tra politica e magistratura è possibile. Basta avere uno sguardo diverso, responsabile e soprattutto onesto. Giovanni Salvi, procuratore generale di Roma, propone un orizzonte di questo tipo, una volta preso atto che «sì, certamente siamo usciti da una fase conflittuale del dibattito sulla giustizia». Ma onestà, dal punto di vista di Salvi, vuol dire che «la politica deve imparare ad affrancarsi da una lettura formalistica delle vicende giudiziarie e dei loro riflessi sul governo del Paese o delle città. Deve assumersi la responsabilità di assegnare un peso e un valore ai fatti giudiziari».Intende dire che finora di fronte ai provvedimenti della magistratura i politici reagivano o contrattaccando o con i cappi in Parlamento?Intendo dire che un avviso di garanzia in sé non deve necessariamente limitare un'attività politica o l'esercizio di una funzione.Non ci si dimette solo perché si è indagati.Appunto, l'informazione di garanzia o un avviso di conclusione delle indagini non possono essere decisivi a prescindere dal contenuto. È quel contenuto, piuttosto, che la politica deve saper valutare. Si può distinguere tra indagini giudiziarie che già contengono aspetti politicamente rilevanti e casi in cui tale rilievo non si scorge. E l'approccio non meramente formalistico dovrebbe valere anche in senso rovesciato.A cosa si riferisce?Al fatto che non si può acriticamente registrare l'esito di un processo, ovvero se arriva una assoluzione o una condanna, per fare valutazioni politiche sulle persone coinvolte. Ci possono essere fatti politicamente rilevanti anche nelle sentenze di assoluzione o di prescrizione. In questo la politica deve riuscire a compiere delle valutazioni autonome.A proposito di prescrizione, è d'accordo con la proposta Casson che prevede di interromperla alla condanna di primo grado?Mi limito a chiedere che il legislatore, ora che siamo arrivati al passaggio decisivo in Senato, si lasci guidare da un principio: la prescrizione dovrebbe essere riportata alla sua funzione di garanzia e non a una scorciatoia per l'impunità. Se il titolare dell'azione penale resta inerte è inevitabile e necessario che intervenga la prescrizione. Ma se non c'è inerzia l'esito naturale di un processo penale è l'assoluzione o la condanna. I tempi di prescrizione devono essere correlati all'attività giudiziaria, in modo da non indurre una strategia difensiva tutta rivolta all'estinzione del reato.Ma il conflitto tra politica e magistratura è superato o no?Sì, è superato nel senso che sia nella magistratura sia in chi governa c'è ormai una consapevolezza: i problemi della giustizia sono così gravi e condizionano così pesantemente la tutela dei diritti e l'economia del Paese che si deve assolutamente trovare un accordo.Governo e Csm sono d'accordo sul fatto che una lunga parentesi politica, per un magistrato, non possa chiudersi col ritorno alla toga ma con il passaggio ad altri ranghi della pubblica amministrazione.Si può anche ragionare su un paletto di questo tipo ma francamente non mi pare una priorità, nella situazione in cui ci troviamo. Spero che il confronto tra politica e giustizia riesca a superare il terreno della mera sovrapposizione tra le due funzioni. Il tema è il rapporto tra la giustizia e le attese dei cittadini, ed è un tema difficile.Ma crede che i cinquestelle ci terranno inchiodati a un dibattito sui magistrati assessori?È un problema che non riguarda un singolo partito, c'è stata spesso negli ultimi anni l'illusione di poter aggirare con l'appello alla magistratura la questione dell'affidabilità della politica, della capacità dei politici di farsi interpreti del principio di legalità. Ma ripeto: quel problema non va aggirato, va superato con la capacità di saper discernere in autonomia tra i fatti giudiziari politicamente rilevanti e quelli che non lo sono.