Il sì al referendum costituzionale perde pezzi, soprattutto al Meridione. A suonare il campanello d'allarme è la rilevazione IPSOS, pubblicati nei giorni scorsi: il No è in testa per un soffio, il 52%, ma il dato eclatante è quello geografico. Al centro-Sud, i contrari alla riforma sarebbero avanti di 16 punti percentuali. Il professor Nicola Rossi, economista e presidente dell'Istituto Bruno Leoni considera il dato tutt'altro che eclatante.Professore, questi 16 punti di distacco segnano una frattura insanabile tra i due poli del Paese?In realtà non si tratta di un dato che mi sorprende. Il Mezzogiorno, infatti, ha sempre votato in direzione opposta a quella del governo del momento. Se tutto andrà come preconizza il sondaggio di Pagnoncelli, non sarà nulla di nuovo.Il Sud contro il governo Renzi?Io non penso si tratti di una rivalsa: il sondaggio fotografa il sentire attuale ed evidentemente i cittadini sono portati ad imputare alla maggioranza attuale i problemi irrisolti del loro territorio, che pure non sono certo solo il prodotto di questa legislatura.Il governo del "cambio di marcia" non l'ha cambiata anche nella gestione del Mezzogiorno?I problemi del Meridione affondano le radici in almeno venti anni di gestione poco oculata. Le differenze tra Nord e Sud sono state amplificate in questi anni, però, e il governo attuale ha la colpa di non aver affrontato il problema, rimanendo immobile e mantenendo l'impianto preesistente.A che cosa si riferisce?Senza scendere nel dettaglio delle singole gestioni, il problema macoroscopico dell'attuale gestione è che tutte le scelte strategiche passano per le regioni. Il dibattito a livello regionale, però, non è risolutivo, soprattutto su un territorio come il Sud Italia in cui la rappresentatività regionale è molto sfumata.E' sbagliato l'approccio, dunque?Io credo che lo Stato centrale debba prendersi in carico la gestione strategica. Sarebbe necessario immaginare un disegno che guarda il Mezzogiorno dall'alto, non dal basso. Mi riferisco alla necessità di colmare alcune lacune infrastrutturali enormi, che non possono certo essere gestite a livello locale: penso al completamente delle reti di trasporto, alla banda larga, a quella portuale, per dire solo alcune delle impellenze di quella parte di Italia.Eppure - potrebbero opporre i sostenitori del Sì al referendum - questa riforma costituzionale, nella parte in cui riforma il rapporto Stato-regioni, punta proprio a centralizzare alcuni aspetti della gestione. Non risulta ancora più eclatante, in quest'ottica, il No del Sud?Questo, ammesso che si consideri quella parte di riforma costituzionale come migliorativa. Io, personalmente, ho grossi dubbi. Questa riforma punta, tra le altre cose, a riparare ai danni compiuti 15 anni fa dalla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione, io però ho la preoccupazione che, in caso di vittoria del Sì, tra altri 15 anni potremmo dover nuovamente intervenire per correggere i danni di questa riforma.E dunque, per il Sud, questa è l'ennesima riforma inutile?Io mi limito a dire che, per intervenire in modo efficace, sarebbe necessario cambiare in modo radicale la lettura del Paese e soprattutto modificare la strategia economica che fino ad ora è stata utilizzata.Un anno zero, insomma?Sarebbe utile, intanto, partire dalla consapevolezza, da un lato, che sono necessari molti passi per invertire la tendenza attuale; dall'altro, che fino ad ora tutto è rimasto pressoché inalterato, sia a livello di metodo che di persone che operano, nonostante molte dichiarazioni roboanti.