Il quesito sulla responsabilità civile era il più importante di tutti tra i sei proposti perché avrebbe potuto avere un effetto trainante per portare gli elettori alle urne referendarie per raggiungere il quorum del 50%, gli altri quesiti, essendo più tecnici, sono meno sentiti dalla gente. Ma il quesito era sbagliato perché non aveva alcun senso chiamare i giudici ad una responsabilità diretta visto che rimaneva immodificato l’art. 2 comma 3 della legge 117/ 88 che esenta i magistrati da responsabilità nell’interpretazione delle norme di legge, dei fatti e delle prove ( la cosiddetta clausola di salvaguardia). Non so se si sia trattato di una svista o l’effetto delle convulse trattative Lega - Partito Radicale, ma tant’è, il risultato oggi è quello che ci teniamo una legge sulla responsabilità civile dello Stato per gli errori dei suoi magistrati che non funziona come aveva denunciato pochi mesi fa l’on. Enrico Costa, evidenziando che negli ultimi 12 anni lo Stato era stato condannato solo in 8 casi su 544 procedimenti. Inoltre, nel redigere il quesito, nessuno si era posto il problema del cittadino danneggiato che ricorre civilmente contro lo Stato per errori dei magistrati, al quale conviene sempre avere come controparte responsabile lo Stato e non il singolo magistrato che, invece, dovrebbe essere chiamato a risponderne attraverso un sistema di rivalsa efficace. E così il Presidente della Corte Costituzionale ha liquidato il referendum con una battuta, si sarebbe trattato di un referendum innovativo, non abrogativo!

Comunque, fosse passato così il referendum, i magistrati ne sarebbero stati certamente contenti. Fortunatamente dai primi commenti dei promotori dei referendum sembra che ci si orienti a portare avanti una proposta di legge di iniziativa popolare che certo meglio si presterebbe rispetto al referendum per tentare una nuova riforma dell’istituto della responsabilità civile dello Stato e dei magistrati regolato dalla legge 117/ 88. E a ben vedere è importantissimo farlo, perché questa è “la madre” di tutte le riforme, in quanto solo attraverso una vera responsabilizzazione dei magistrati, sia civile che professionale, si potrà ottenere una giustizia più efficiente, rapida e giusta dal momento che nelle statistiche Ue l’Italia è all’ultimo posto per durata dei processi mentre l’indipendenza percepita dei magistrati da parte del pubblico è al livello dei paesi dell’est ( fonte Eu Justice Scoreboard 2021).

Ma nel proporre una legge di riforma della riforma già tentata nel 2015 con la l. 18/ 15, occorre capire veramente perché queste leggi non hanno funzionato, per evitare di ricadere negli stessi errori di valutazione. Con l’esperienza che ho maturato sul campo facendo un ricorso ex legge Vassalli ( respinto), posso affermare che le ragioni per le quali la legge non funziona sono le seguenti: 1. L’impianto della legge è rimasto inalterato, il cittadino deve citare lo Stato nella persona del Presidente del Consiglio e non i magistrati sui quali lo Stato si potrà rivalere secondo specifiche modalità. Questo significa quindi che, in caso di sentenze di primo o secondo grado favorevoli al ricorrente, l’Avvocatura Generale dello Stato ricorrerà sempre fino in Cassazione. Il magistrato invece potrà attendere l’esito del procedimento sapendo che, in caso di condanna dello Stato, potrà essere passibile in alcuni casi entro due anni di un’azione di rivalsa da esercitarsi in via giurisdizionale con i tre gradi di giudizio. Questo impianto porta al risultato per il ricorrente che la disparità di forze in campo scoraggerà l’azione per i costi legali da sopportare e i tempi necessari; per il magistrato che il rischio di una effettiva sanzione, già limitato e rinviato a più di venti anni dall’errore commesso, ben difficilmente incoraggerà comportamenti virtuosi per limitare rischi di effettiva responsabilità civile potenzialmente derivanti dalle proprie delibere.

2. Il mantenimento della cosiddetta clausola di salvaguardia ( l’interpretazione di norme di diritto, di valutazione del fatto e delle prove) che esclude di fatto da azioni di responsabilità civile gran parte dell’attività dei magistrati, salvo provare la colpa grave e il dolo che risultano sempre quasi impossibili da provare per l’interpretazione della Cassazione.

3. L’eliminazione della “negligenza inescusabile” come condizione per qualificare la colpa grave del magistrato e la violazione manifesta della legge e del diritto europeo sono state controbilanciate dall’introduzione di alcune condizionalità ( grado di chiarezza delle norme violate, inescusabilità e gravità dell’inosservanza) sulle quali non mancherà certo di continuare ad esercitarsi la Cassazione a tutela dei colleghi, come da prassi consolidata che occorre stroncare sopprimendo tali condizionalità.

4. Il mantenimento nella legge di riforma degli obblighi di aver esperito tutti i rimedi, anche se non necessari, relativi del procedimento contestato e di aver sollecitato provvedimenti comunque dovuti ai fini del diniego di giustizia rappresentano ulteriori ostacoli che concorrono a tutelare in modo squilibrato la posizione dei magistrati, penalizzando l’interesse dei ricorrenti danneggiati.

I magistrati naturalmente non condivideranno mai questa analisi, soprattutto gli argomenti di cui ai punti 1 e 2, e sosterranno che si tratta di aspetti indispensabili per salvaguardare il principio prioritario di rango costituzionale, quello dell’indipendenza dei giudici. Ma a ben vedere si tratta di un tabù evocato per mantenere garanzie e privilegi: non è forse altrettanto importante garantire al cittadino danneggiato dagli errori dei magistrati il diritto al risarcimento come richiesto dalla Corte di Giustizia con una sentenza contro l’ Italia nel 2011?

                                                                                                          Bruno Lago