Fausto Raciti, deputato del Partito democratico, ritiene che il Pd debba liberarsi dello «psicodramma delle alleanze» recuperando «un’iniziativa forte» e che su questo Enrico Letta sia in condizione di «segnare una rotta nuova».

Onorevole Raciti, quello di Letta è il nome giusto?

Sì, lo è. Perché come percorso e storia politica credo che cercherà di collocare il partito in questa fase nuova del governo Draghi utilmente e senza tenere il broncio alla realtà, come mi sembrava stava accadendo prima. E in secondo luogo perché mi pare avverta la responsabilità di provare a rimettere in gioco il Pd. E ce n’è bisogno.

Cosa significa oggi «rimettere in gioco il Pd» ?

Rimettere in gioco il Pd significa trovare una ragionevole intersezione tra l’agenda del governo Draghi e i temi più cari al partito e penso che Letta abbia le caratteristiche per farlo. Nessuno di coloro che criticava Zingaretti pensava fosse un problema di regole oppure organizzativo. Era un problema politico, di ritorno ad alcune proposte come la vocazione maggioritaria. Credo che sul recupero di un’iniziativa forte del Pd, che non deleghi ad altri il rapporto con il Paese, Letta sia in condizione di segnare una rotta nuova.

Può essere il leader adatto anche ad aprire di nuovo le porte a chi se n’è andato?

Non credo che il problema sia riassemblare i vecchi amici, ma allargare lo spazio del Partito democratico, che si è molto ristretto nel corso di questi mesi, e costruire un’agenda che parli al Paese. In queste settimane abbiamo dato la terribile sensazione di essere ancora attorcigliati attorno a una discussione che riguarda il passato, cioè il governo Conte e il rapporto con il Movimento 5 Stelle.

Beh, ma il rapporto con il Movimento 5 Stelle è vivo, basti pensare all’entrata dei grillini nella Giunta della Regione Lazio.

Dobbiamo liberarci di questo psicodramma delle alleanze e puntare a rappresentare la società italiana complessivamente o perlomeno quella parte di società che si riconosce in un’idea progressista dello sviluppo del Paese. Dopodiché, chi vivrà vedrà.

Cos’ha sbagliato Zingaretti?

Mancava una strategia decente. Mancava la capacità di assumere un’iniziativa politica nel momento della crisi. Anziché trovarla, ci siamo arroccati in difesa di quello che c’era e siamo finiti a subire i processi anziché condurli.

Eppure in vista delle Amministrative un qualche tipo di accordo con il M5S dovrei farlo, non crede?

Il fatto di stare nella stessa maggioranza di unità nazionale, quindi non fisiologica, non significare alleanza organiche. Sul piano locale scelgono i nostri esponenti di volta in volta quale sia lo schieramento di forze più adatto e omogeneo per le loro realtà territoriali. Ma dobbiamo capire che non è più sostenibile la legge di coalizione a livello nazionale.

Riuscirà Letta a mettere fine alla guerra senza quartiere che imperversa tra le correnti del partito?

Credo che questa criminalizzazione del pluralismo e delle correnti sia la prosecuzione di una campagna dal sapore antiparlamentare, contro l’idea per cui dentro un partito le posizioni a un certo punto si mediano. Penso che Letta possa segnare un cambio di stile nel modo di interloquire tra di noi. Il clima si è arroventato quando si è capito che Zingaretti senza avere il mandato per farlo voleva forzare il tema dell’alleanza con il Movimento 5 Stelle.

Ora il dibattito tornerà civile e potabile.

Ai tempi del governo Letta, il centrosinistra era in maggioranza con una parte del centrodestra. Oggi, idem. Cosa porterà l’esperienza di quell’esecutivo nel sostegno a Draghi?

Le condizioni sono diverse. Questo è un governo di unità nazionale in cui siamo nella stessa maggioranza con tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia. Tuttavia penso che lui abbia l’intelligenza e la duttilità necessarie per affrontare questa fase. Non è una questione di storia personale ma di semplice capacità politica e senso della realtà.

Sembra, almeno a parole, che sia l’uomo giusto per far “sbollire” le correnti. Non è che poi finirà anche lui nel tritacarne?

Il tema non è far sbollire, non è solo un fatto di stile. Il punto è ricollocare il Pd in una fase politica nuova e dargli parole e strumenti per farlo. Dobbiamo riagganciare il Pd alle questioni aperte del Paese, cioè pandemia, Recovery plan e riorganizzazione del sistema politico. Il Recovery segna un primo tratto dello sviluppo italiano ma come Pd dobbiamo poi immaginarci il proseguo di questa strada dal punto di vista delle politiche economiche.

Italia Viva ha spesso accusato il Pd di Zingaretti di fuggire il riformismo renziano per agganciarsi al giustizialismo pentastellato. Ora cambierà qualcosa?

Dobbiamo specificare cosa sia il riformismo. Il riformismo è un metodo che prevede la prova dei fatti e una certa gradualità nel tentativo di raggiungere degli obiettivi. Non è un programma scolpito nel marmo. Credo che Letta possa provare a parlare anche al mondo che si è rivolto a Italia Viva. È chiaro che una figura come la sua segna un’idea del Pd più a tutto campo, che non si fa chiudere dove avrebbero voluto chiuderlo sia Renzi che Bettini. Il primo voleva un centro rappresentato da lui stesso, il secondo voleva che il centro fosse rappresentato da Conte. Ma il fine era lo stesso.