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Il conflitto in Ucraina, iniziato il 28 febbraio 2022 con l’ingresso dei carri armati russi nel paese sembrava destinato ad essere una guerra lampo. A tre anni e mezzo sul campo i due eserciti sono in stallo in un pantano costato la vita a centinaia di migliaia di persone. Oggi, a seguito dell’incontro tra Putine Trump in Alaska e del summit di Washington s’intravedono spiragli di speranza. Putin sembra essere disponibile ad un accordo, sarà davvero così? Ne parliamo con Anna Zafesova, giornalista de La Stampa, autrice del libro Russia l'impero che non sa morire. Il passato di Mosca, il futuro di Kyiv.
Trump ha detto che Putin potrebbe non voler negoziare un accordo di pace, che senso avrebbe avuto arrivare a questo punto?
Credo che Putin non voglia la pace, tanto è vero che non ne ha mai parlato e non ha mai accettato la tregua e lunedì, mentre Zelensky si trovava alla Casa Bianca bombardava le città ucraine. Se fosse stato interessato alla pace avrebbe già mostrato la sua buona volontà. Putin vuole dei acquisizioni territoriali in Ucraina e la sottomissione culturale ucraina. Il presidente russo è costretto a trattare perché Trump vuole un negoziato, come è costretto a trattare Zelensky. Negli ultimi sei mesi il negoziato non ha portato a nulla ed è stato portato aventi con il solo scopo di non far arrabbiare Trump. Putin è convinto di poter continuare la guerra e non vuole pace. Entrambi i paesi (Russia e Ucraina) hanno limiti strutturali oltre i quali non possono spingersi e Putin è convinto che il limite russo sia ben oltre quello ucraino, non ha fretta di concludere la guerra, però ha paura delle sanzioni, per questo si è seduto a trattare. Le sanzioni funzionano benissimo, certo non si può pensare che siano un’arma risolutiva e immediata, ma stanno funzionando. C’è stata la chiara volontà mettere la Russia con le spalle al muro per evitare il rischio di qualche gesto estremo. A tre anni dall’inizio della guerra però i dati del fondo sovrano russo mostrano come questo si sia ridotto di due terzi e secondo diversi analisti ed economisti russi potrebbe esaurirsi presto. La minaccia di Trump d’imporre dazi mostruosi ai paesi che commerciano con la Russia ha preoccupato i partner dei Brics che hanno un certo potere su Putin. Da qui il vertice in Alaska, che non è andato bene tanto che lo stesso Trump ha parlato di “no deal”. Putin è però riuscito a convincere Trump a rinunciare alla tregua come presupposto per i negoziati e a parlare di un accordo di pace che elimini le cause del conflitto. Vittoria di Putin che ha così potuto segnare un 0-1 sul tabellone. A Washington i paesi europei hanno offerto il congelamento del conflitto con garanzie di sicurezza per l’Ucraina e hanno pareggiato, 1-1. Ora la palla è nel campo di Putin.
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov ha dichiarato che l’obiettivo di Mosca non è mai stato la conquista dei territori ma la difesa delle popolazioni russe...
La storia dei territori russofoni è un falso storico, in quanti territori ucraini si parla russo come in Donbass, anche se dall’invasione la popolazione ha progressivamente abbandonato la lingua russa in favore di quella ucraina. Lavrov lo sa benissimo è ormai un ministro della propaganda più che della diplomazia. Le condizioni ufficiali di Mosca sono sempre state vogliamo quei territori perché sono territori russi. Il punto è che Putin ha sempre detto che bisogna risolvere le cause alla radice del conflitto, secondo lui la stessa esistenza di un’Ucraina indipendente che guarda all’Europa e non alla Russia è una di queste cause. Putin infatti ha sempre parlato di garanzie di sicurezza per la Russia perché pur essendo l’aggressore si sente aggredito. Il problema è che (i russi) sono davvero convinti di ciò che dicono.
Fino a che punto ci si può fidare di Putin?
Data la quantità di promesse e patti che Putin ha violato negli ultimi anni il prezzo dell’accordo non è nemmeno di quello della carta su cui è firmato. Putin ha violato lo statuto Onu; il trattato di amicizia Russia e Ucraina; il Memorandum di Budapest con cui l’Ucraina ha ceduto le testate nucleari ereditate dall’Unione sovietica in cambio di garanzie sulla sua sicurezza, indipendenza e integrità territoriale; diversi accordi multilaterali seguiti alla disgregazione dell’Urss e altri accordi di amicizia e mutua difesa. Putin rilegge i patti a modo suo, ha una formazione da giurista, da qui la sua conoscenza e uso dei cavilli, ne è un esempio l’”operazione militare speciale”. La linea da seguire in questo senso è che la miglior garanzia di sicurezza per l’Ucraina, più che qualsiasi accordo o promessa, è un’Ucraina più forte, dotata di un esercito che possa fungere da deterrente da future invasioni.
Cosa ne pensa della ritrovata unità dell’occidente invocata da Meloni? Potrebbe portare a unità europea?
È qualcosa che non si è mai visto. Un’Europa molto unita, consapevole del suo ruolo e della sua situazione difficile. I leader europei non sono adnati lì solo per difendere Zelensky ma perché la loro posizione è quella del presidente ucraino. A Washington erano presenti leader che qualche anno fa consigliavano a Zelensky di arrendersi, gli negavano le armi e trattavano con Putin per continuare a comprare gas russo. Oggi si sono resi conto che le paure e le speranze ucraine sono le paure e le speranze dell’Europa. Chi sperava che fosse un conflitto post coloniale tra due paesi extra comunitari, una limitata disputa regionale, oggi si rende conto che è un conflitto che coinvolge l’Europa e cheuna delle cause è che l’Ucraina si sia avvicinata all’Europa.
Quale potrebbe essere la politica di Putin sul lungo periodo?
Non cedo che Putin abbia un lungo periodo. Nel febbraio del 2022 si è ficcato in un guaio e ha via via rilanciato per sostenere una situazione che oggettivamente è un disastro, che ha ucciso o invalidato permanentemente un milione di russi, ha trasformato l’economia russa in una fabbrica bellica e ha portato all’investimento di tutta la ricchezza nazionale investita in carri armati. La guerra è convenuta a Putin che ha trasformato un regime autocratico in una dittatura miliare. La popolazione è terrorizzata dalla repressione e non è in programma un allentamento delle viti che ha stretto. Finché c’è la guerra non c’è bisogno di allentarle, dovesse finire la guerra la situazione per Putin cambierebbe e si troverebbe di fronte a diversi problemi, gli stessi suoi oligarchi gli chiederanno di riaprire il mercato, a quel punto bisognerà vedere il ruolo delle sanzioni. Il vero problema è l’Europa, se Putin riuscisse a ottenere allenamento delle sanzioni europee e potesse così ridare alla sua élite la possibilità di viaggiare e tornare nelle loro vile in Francia e Italia probabilmente guadagnerebbe ossigeno. Dipende a quali condizioni Putin chiuderà, se chiuderà, questa guerra e fino a quando non avrà bisogno di un altro conflitto per distrarre i russi. È una dinamica studiata tante volte. Le dittature militari hanno bisogno di conflitti per tenersi in vita fino a che non ne intraprendono una che va oltre le loro capacità.
La linea di Trump può pagare?
La linea di Trump sta pagando a livello paradossale. Sta producendo diplomazia per ora inconcludente su obiettivi irraggiungibili, però la sua idea del Maga purtroppo sta pagando, abbiamo visto come mezzo mondo, anzi, la metà più ricca del mondo si è presentata dalla Casa Bianca per provare a spiegargli cartina alla mano che non si fa così. La prepotenza di Trump sta paradossalmente producendo effetti. Bisogna vedere fino a che punto, Zelensky e Putin continuano ad essere distanti ma nessuno dei due può fare a meno di Trump, tiene ha coltello dalla parte del manico, come lo usa è un altro discorso. Ad esempio gli europei pur di distrarlo sono arrivati con progetto di garanzie di sicurezza congiunte che di fronte alle pressioni di Trump potrebbe diventare realtà.