Per una volta può accadere anche questo: essere d’accordo con Piercamillo Davigo. Proprio lui, quel Davigo il cui programma anni fa Giuliano Ferrara riassume con “Vuole rivoltare l’Italia come un calzino”; quel Davigo secondo il quale, pare, l’umanità si divide in due categorie: i colpevoli, e quelli che ancora non sono stati scoperti.Titola “Il Dubbio” di mercoledì: “Davigo, Italia paese sicuro, non date retta alla tv”. Per quel che riguarda la sicurezza, basta intendersi su quale sia la soglia accettabile; che non si debba dare retta alla tv, beh… Davigo si metta in coda con apposito numero, non è tra i più originali, davanti a lui c’è una folta schiera di persone che lo dicono convintamente e lo precedono.Fuor di celia e battuta. Il dato reale è quello che dichiara Davigo: «Gli italiani sono convinti di vivere in un Paese insicuro, ma in Italia abbiamo meno omicidi di Francia e Germania, che sono considerati Paesi abbastanza sicuri».A conforto di questa affermazione quanto scrive su lavoce. info un sociologo che da sempre studia e monitorizza i fenomeni criminali, il professor Marzio Barbagli, già direttore dell’Istituto Cattaneo di Bologna, consulente del ministero dell’Interno come direttore scientifico di quattro rapporti sulla criminalità in Italia, accademico dei Lincei. Questo e molto altro per dire che il professor Barbagli non è davvero il primo venuto, e se fornisce cifre e dati, e ne ricava un certo succo, è perché quelle sono le cifre, quelli sono i dati; e soprattutto quello è il succo che se ne spreme.Dunque, vediamo i risultati del suo studio, che segnano un diverso e radicale modo di leggere una realtà, rispetto alle “letture” ai quattro formaggi di analisti di nessuna analisi, di ricercatori di nessuna ricerca: nel 2015 il numero di omicidi commessi nel nostro paese è diminuito, passando dai 475 dell’anno precedente a 468. «È dal 1992 - annota Barbagli - che il tasso di questo reato ha conosciuto una continua e apparentemente inarrestabile flessione, arrivando ora a 0,80 per 100mila abitanti. Il calo ha riguardato tutte le forme di omicidio: di criminalità organizzata, legato a furti e rapine, commesso per liti, risse e futili motivi o per passioni e conflitti fra familiari».Per farla breve: oggi l’Italia ha il tasso più basso di questo reato della sua storia, sia recente che passata. Il più basso dell’ultimo secolo e mezzo: subito dopo l’Unità, era di 6,8 per 100mila abitanti, otto volte e mezzo maggiore di quello attuale. Commenta Barbagli: «Si tratta di un cambiamento straordinario che dovrebbe rimettere in discussione tre idee molto diffuse nell’opinione pubblica e tra buona parte degli studiosi».La prima che i dati mettono in discussione è che la società italiana sia dominata dalla violenza: «È un’idea alimentata anche dai mezzi di comunicazione di massa, che continuano a rifarsi al principio che "if it bleeds, it leads", ovvero "se c’è sangue, suscita interesse, fa notizia". Ed è un’idea talmente radicata che chi la condivide accoglie con scetticismo, se non con una punta di irritazione, ogni notizia che tenda a smentirla».La seconda idea che secondo Barbagli viene messa in discussione «riguarda le conseguenze della grande crisi economica degli ultimi anni: la lunga recessione che ha colpito il nostro paese ha avuto sicuramente effetti su molti aspetti della società italiana, sullo stile di vita, le scelte familiari, lo stato di salute e l’umore delle persone. Ma, a differenza che in altri paesi (ad esempio in Grecia), non ne ha avuti sulla frequenza della violenza omicida. La flessione del tasso di omicidi registrata a partire dal 1992 non ha subito un’inversione di tendenza e non si è arrestata nel 2008 né negli anni successivi, ma è continuata durante tutto il periodo della crisi».La flessione è stata molto forte nelle regioni settentrionali più avanzate (Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna) dove si è ridotto di due terzi. Ma ancora più forte è stata la riduzione in quelle meridionali. In Campania il tasso di omicidi è quasi un quarto rispetto al 1991, in Calabria un settimo, in Sicilia addirittura un decimo. «Se nel 1991 nel Mezzogiorno ci si uccideva 5,4 volte più che nel Settentrione, oggi lo si fa 2,2 volte di più. La letteratura scientifica internazionale è sostanzialmente d’accordo nell’attribuire diminuzioni così forti della violenza omicida all’affermazione dello Stato, della sua capacità di detenere il monopolio della violenza legale, della sua legittimità e all’interiorizzazione, da parte dei cittadini, dell’imperativo che non ci si può fare giustizia da soli. Questa ipotesi - conclude Barbagli - può aiutarci a capire cosa è successo, e sta succedendo, nel nostro paese».Naturalmente anche un solo delitto, un solo “femminicidio”, basta e avanza; però questi dati, dovrebbero comunque far riflettere su come si fa un certo tipo di informazione; e sul perché. Sempre più la realtà è frutto di una “percezione”; e sempre più, per governare, “stabilizzare” occorrono “emergenze”. Alla luce di ciò, tutto facilmente si spiega.