«È necessario tutelare il diritto all'informazione, un diritto, ricordo, costituzionalmente garantito», afferma l'avvocato Vinicio Nardo, presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Milano. La recente entrata in vigore della normativa sulla presunzione d'innocenza e le sue ripercussioni in tema di comunicazione giudiziaria, ha in questi giorni dato il via ad un dibattito molto sentito fra tutti gli operatori del settore: magistrati, avvocati, giornalisti.
La libertà di informazione ci deve essere e può esistere anche nel rispetto della presunzione di innocenza. E, soprattutto, deve essere a tutela dalla disintermediazione dei social tra haters e fake news.
È un bene che si sia regolamentata l’ufficialità dei percorsi di “vidimazione” delle notizie da parte dello Stato, sia nella forma dell’Autorità giudiziaria che in quella delle Forze dell’ordine. Ma la libertà di informazione e la ricerca della verità devono essere ancora uno spazio di movimento consentito ai giornalisti e in particolare a loro, proprio per contrastare il buco nero della disintermediazione informativa che ha, come detto, negli haters e nelle fake news una minaccia già presente e che il giornalismo corretto e non diffamatorio deve contrastare.
Io credo che sull’altare della sacrosanta tutela della presunzione di innocenza non possa finire una apparente forma di censura che passa sottilmente dalle nuove regole del gioco indicate nella Riforma Cartabia a proposito di regole di ingaggio nella comunicazione. Ma di certo l’ultima modalità di elaborare quegli errori può essere mettere il silenziatore alle notizie, come qualcuno e in particolare i giornalisti potrebbero leggere tra le righe dei nuovi provvedimenti. Magari anche all’insaputa di chi li ha diligentemente scritti.
Gli avvocati difendono i diritti e i diritti non ammettono processi e condanne a prescindere e invece ne vediamo un giorno sì e un altro pure.
Il 2022 dovrebbe essere interamente dedicato a riflettere e lavorare sull’eredità dei 30 anni di Tangentopoli e proiettare sul futuro e anche nell’applicazione della Riforma Cartabia tutti gli insegnamenti, per non correre più gli errori che all’epoca fecero in tanti e anche nell’informazione.
Da allora molte cose sono cambiate. Noi avvocati siamo i primi a contrastare in tutti i modi consentiti dalla legge e dal buon senso quella cattivissima tendenza che a volte la giustizia e il giornalismo hanno condiviso e che abbiamo sintetizzato nel termine di “processi mediatici”.
Certo: se prima a esserne autori erano i giornali adesso a volte lo sono proprio i social, disintermediando la professionalità dei giornalisti.
In un momento come questo di fronte alle sensazioni che producono le nuove regole sulla comunicazione a tutela della presunzione di innocenza, suona in effetti molto stridente quello che sta succedendo a Palazzo di giustizia con lo spazio stampa da decenni a disposizione dei cronisti per il loro lavoro sugli articoli. Su di loro, come è già accaduto di recente anche per una nostra associazione di avvocati, è calata la scure dei costi delle spese di gestione della sala, che sta portando ad obbligarli a lasciarla. Per quanta ragione possa avere lo Stato nel reclamare il legittimo pagamento delle spese dovute, qui in gioco c’è l’esercizio del diritto di cronaca. Per questo ci attiveremo per capire come con la Corte d’Appello si possa trovare una soluzione, eventualmente in un altro spazio per consentire ai giornalisti di lavorare quotidianamente a Palazzo anche nei prossimi anni.