Il presidente della Repubblica non ha ancora firmato, per la promulgazione, la legge cosiddetta “spazzacorrotti” faticosamente approvata dalle Camere, in particolare a Montecitorio in via definitiva il 18 dicembre scorso. E’ quella che contiene la norma che modifica l’articolo 159 del codice penale e dispone che “il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado”. E’ la fine, contestatissima pure all’interno della maggioranza, della prescrizione: la fine anche per l’imputato che venisse assolto e vedesse appellato il verdetto dall’accusa, senz’altro limite al processo se non quello purtroppo generico dell’articolo 111 della Costituzione. Che parla solo di “ragionevole durata”.

Quanto poi ragionevole possa o debba essere la durata di un processo, non si sa. E francamente non si sa neppure chi possa stabilirlo: forse la Corte Costituzionale, se le dovesse capitare di occuparsi del problema, al primo ricorso ricevuto tramite la magistratura per qualche vertenza giudiziaria aperta da un cittadino non disposto ad accettare la sua condizione di imputato a vita.

Il presidente della Repubblica, che è anche un fine giurista ed è stato giudice costituzionale prima di essere eletto al vertice dello Stato, sta riflettendo evidentemente su questo e forse anche altri aspetti della legge così fortemente voluta dai grillini: una bandiera, per loro, quasi come quella del cosiddetto reddito di cittadinanza. Una bandiera contrastata, all’interno della maggioranza gialloverde, dai leghisti. I quali definirono per bocca del ministro della pubblica amministrazione e celebre avvocato Giulia Bongiorno “una bomba atomica” la supposta della fine della prescrizione, riuscendo solo a strappare agli alleati di governo l’impegno - che, in verità, si ha difficoltà a trovare nel testo della legge approvata dalle Camere- a rendere operativa la sospensione senza limite della prescrizione dall’anno prossimo, in modo da tentare, quanto meno, una riforma generale e rasserenante del processo.

Non solo da presidente della Repubblica e da giurista Sergio Mattarella merita tutta la comprensione dell’osservatore politico per il tempo di riflessione che si è dato. E che scadrà costituzionalmente il 18 gennaio, al compimento cioè del trentesimo giorno dall’approvazione della legge. La riflessione di Mattarella merita tutta la comprensione possibile pure per via della sua doppia funzione, voluta anch’essa dalla Costituzione, di presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura. Il quale ultimo, richiesto di un parere dal ministro della Giustizia durante il percorso della legge, ha espresso il suo dissenso, anche su aspetti diversi dal più clamoroso costituito dalla sospensione all’infinito, cioè della soppressione, della prescrizione con l’arrivo della prima delle tre sentenze consentite dal nostro sistema giudiziario e istituzionale.

Il parere negativo, e per certi versi dirompente, del Consiglio Superiore della Magistratura fu formulato all’unanimità nella competente commissione. E a maggioranza dal plenum, che se ne occupò, votando, solo il 19 dicembre, cioè il giorno dopo l’approvazione definitiva della legge alla Camera: con un calendario, diciamo così, sfortunato per chi avrebbe voluto fare ancora qualcosa in Parlamento per porre rimedio alla incresciosa situazione, ma fortunato per il ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede. Che però adesso attende forse con ansia non inferiore, se pure di segno contrario a quella degli avvocati, dei leghisti nella maggioranza e delle opposizioni parlamentari, le conclusioni della lunga, e per ciò stesso significativa riflessione che ha voluto concedersi, o imporsi, il presidente della Repubblica.

Sergio Mattarella ha dimostrato nei suoi quasi quattro anni del mandato presidenziale, dei setti affidatigli dalla Costituzione, di essere ben disposto a firmare in fretta le carte che gli arrivano sulla scrivania quando ne condivide o comunque accetta il contenuto, o l’urgenza che qualche volta l’accompagna. E’ accaduto non più tardi della fine dell’anno scorso, quando per evitare il ricorso al cosiddetto esercizio provvisorio ha firmato la legge di bilancio limitandosi poi a lamentare, nel messaggio televisivo di San Silvestro, la “grave compressione” subita dall’esame parlamentare. “Grave” per Mattarella, “dolorosa” per il presidente grillino della Camera Roberto Fico in una lettera di buon anno affidata al giornale della Confindustria Sole 24 Ore.