Tutte le crisi, economiche o militari, hanno falcidiato una generazione. Quella del coronavirus - che pure ha drammaticamente colpito gli over 65 sul fronte della salute - sta stringendo un invisibile cappio al collo dei Millennials. Alias, i nati tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima dei Novanta. Una generazione giovane ma non più così giovane da avere tutte le strade aperte davanti. Che si è formata a cavallo tra due millenni e porta con sè ancora qualche incrostazione novecentesca come il mito irraggiungibile del lavoro a tempo indeterminato per tutta la vita. Lultima non nativa digitale. Ma soprattutto la prima a venir colpita due volte a distanza di meno di dieci anni da una crisi economica: i Millennials, infatti, sono stati i primi ad affrontare per la prima volta il mercato del lavoro negli anni della recessione del 2008 e oggi, proprio mentre la ripresa sembrava essere ormai strutturale, sono di nuovo nellocchio del ciclone. Ieri, infatti, il Fondo monetario internazionale ha quantificato la recessione italiana in un meno 9,1 punti percentuali sul Pil e questa carneficina economica lascerà sul campo, con tutta probabilità, i trentenni di oggi: una generazione per cui la scala mobile sociale è praticamente ferma, cresciuta nellidea del precariato - lavorativo ma anche sociale - e con la certezza che la sua parabola di reddito non si avvicinerà nemmeno lontanamente a quella della precedente generazione. In poche parole: la prima generazione nella storia moderna la cui prospettiva è quella di essere statisticamente più povera rispetto a quella dei propri genitori. E' troppo presto per quantificare in numeri quale sarà il danno di questa crisi sanitaria per ogni generazione, sia sul fronte della perdita di lavoro che della diminuzione di salario, ma quel che è certo è che i più vulnerabili sono proprio i Millennials. Le ragioni sono molteplici: sono i soggetti con meno risparmio accumulato, sono quelli che guadagnano meno e quelli con contratti con minori garanzie. Il loro mondo del lavoro, infatti, è statisticamente composto di due elementi: incertezza occupazionale e reddito basso e discontinuo. Lallarme è partito dallAmerica, in cui - se possibile - i Millennials se la passano anche peggio dei loro omologhi italiani. Le statistiche minime sul lavoro pubblicate in questi giorni dal Data for Progress mostra come il 52% degli under 45 hanno perso il lavoro, sono stati messi in aspettativa o hanno avuto lorario di lavoro ridotto, contro il 26% dei lavoratori over 45. In Italia dei dati precisi ancora mancano, ma secondo un sondaggio sugli effetti del coronavirus realizzato dallOsservatorio Giovani dellIstituto Toniolo e Ipsos su un campione di 20-34enni, per la maggioranza dei giovani italiani la condizione lavorativa è già peggiorata rispetto al periodo precedente, che per altro non era certo roseo. Per ora sono solo sensazioni, ma a darne drammatica concretezza è un dato: in dieci anni, lindice di povertà assoluta per gli under 35 è raddoppiato. Per fare un paragone tra genitori Boomers e figli Millennials, la ricchezza mediana netta delle famiglie composte da over65 è dodici volte maggiore rispetto a quella degli under 30. Tra le situazioni più drammatiche, ci sono quelle dei giovani libero professionisti. Un appello è già stato lanciato dal presidente di Aiga, lassociazione dei giovani avvocati, Antonio De Angelis. «Alla fine di questa crisi probabilmente assisteremo alla scomparsa di una generazione di avvocati. Molti dei 30enni che oggi esercitano la professione avranno probabilmente difficoltà a resistere. E proveranno a fare altro», ha detto in una recente intervista a questo giornale. E la situazione dei giovani avvocati non è diversa da quella di altrettanto giovani architetti, ingegneri o commercialisti. «Ci sono tanti colleghi che lavorano come collaboratori di studio e che pagheranno per primi gli effetti della crisi. Saranno soprattutto loro a essere sacrificati dai dominus con i quali lavorano come monocommittenti. Diversamente da quanto avviene per il personale di segretaria, al giovane avvocato collaboratore di studio, a partita Iva, non spetta né Tfr né indennità di mancato preavviso. Non ha tutele», ha argomentato De Angelis, mettendo il luce il vulnus di unintera generazione di partite iva sui generis: autonomi sulla carta, ma di fatto dipendenti senza garanzia alcuna in periodi di crisi. Di questo fenomeno, tuttavia, nulla si sente sul fronte del governo. Ancora comprensibilmente assorbita dallemergenza sanitaria, la politica non ha ancora iniziato a fare i conti con il dramma che questa emergenza lascerà dietro di sè. Ma, se lesperienza passata insegna qualcosa, chi oggi è al potere dovrà temere gli effetti di questi mesi sul suo elettorato giovane.