La circolare firmata dal Procuratore di Roma per mettere un freno agli avvisi di garanzia ( e prima ancora all’iscrizione automatica nel registro degli indagati) anche in assenza di indizi solidi, tocca un punto dolente: il punto nel quale si incrociano Giustizia, Politica e Informazione. Scritte tutte e tre a lettere maiuscole. È chiaro che giustizia, politica e informazione sono di per se categorie positive. Tre pilastri dello stato di diritto e della democrazia. Però dovrebbero restare separate. Invece esiste un luogo dove si incontrano e si scambiano funzioni e poteri, perdendo tutte le proprie virtù, degenerando e trasformandosi in un buco nero. Questo buco nero, di solito, si chiama Giustizia- Spettacolo.

Il dottor Pignatone sa bene che una delle strade che più agevolmente conduce alla giustizia- spettacolo è l’eccesso di indagini aperte e di avvisi di garanzia. Perché? Perché in questo modo lo Stato di diritto viene sostituito dallo Stato del sospetto, l’indagine diventa condanna ed esecuzione della condanna, la presunzione di innocenza si trasforma in certezza di colpevolezza.

Questo in parte succede in tutto l’Occidente. Da noi però avviene in modo molto più esteso, per due ragioni. La prima è che magistratura e politica sono impegnate in una guerra senza frontiere che non trova armistizi ( e che la magistratura tende sempre a vincere); la seconda è che il giornalismo - rinunciando ai propri principi e alla propria funzione storica – da molti anni è diventato un “esecutore” dei Pm, senza capacità critiche, senza dubbi, senza struttura culturale. Ha perso completamente la propria indipendenza. Per fermare la gogna non basta Pignatone

I Il dottor Pignatone ha deciso di intervenire, nell’ambito delle sue prerogative e dei suoi poteri. Così come aveva fatto qualche mese fa, sempre con una circolare ai suoi sostituti, quando cercò di porre un argine all’uso scandalistico delle intercettazioni telefoniche.

Che la giustizia- spettacolo sia uno dei mali più radicati e pericolosi, nel nostro paese e nel funzionamento del diritto, non è una novità. E che sia proprio lo scontro tra politica e magistratura la ragione principale di questa degenerazione, è cosa nota. Da almeno 25 anni è così. All’inizio il tiro dei magistrati si concentrò su Silvio Berlusconi e sul centrodestra. Poi si estese al centrosinistra, provocando la caduta di un paio di governi e di molte giunte comunali o regionali. Infine, recentemente, ha raggiunto persino i 5 stelle, cioè il partito che più di tutti gli altri ha in passato sostenuto la giustizia- spettacolo e ne ha utilizzato a proprio favore la forza propagandistica. L’altro giorno, però, quando anche la sindaca di Torino, Chiara Appendino, è caduta colpita da un avviso di garanzia e dall’impietoso colpevolismo dei giornali, il capo del partito, cioè Luigi Di Maio, è saltato in sua difesa usando gli argomenti che per tanti anni aveva usato Berlusconi. Ha detto: «E’ giustizia politica». Naturalmente possiamo prendere in giro Di Maio finché vogliamo, per questa brusca e inspiegabile sterzata ( visto che fino a non molto tempo fa sosteneva che la presunzione di innocenza non dovesse esistere per i politici); però poi dobbiamo dargli ragione. Quella contro l’Appendino è giustizia politica, come quella che tante volte ha colpito la destra e la sinistra. Ed è proprio contro questa giustizia politica che si è mosso Pignatone.

Il problema è che la giustizia- spettacolo, o la giustizia- politica, o la giustizia- adorologeria, ha molti sostenitori. È sostenuta da quella trilaterale alla quale accennavamo prima: magistratura, giornalismo e politica. Alla magistratura piace, perché aumenta i propri poteri, e in particolare piace ai Pm ( magistratura inquirente) che in questo modo “detronizzano” la magistratura giudicante, anticipando le sentenze e il loro effetto. Piace ai giornalisti, che devono lavorare meno, pensare meno ( pensare spesso è faticoso) e in questo modo vendono anche qualche copia in più. E paradossalmente piace persino alla politica – che pure ne è la principale vittima – perché tutte le parti politiche immaginano di poterla utilizzare per colpire o indebolire l’avversario che ha prevalso alle elezioni.

Il dottor Pignatone ha mosso dei passi per limitare questo malcostume. Però bisognerà prendere atto del fatto che non è la magistratura che può risolvere il problema. E infatti c’è anche chi, a ragione, muove delle critiche all’iniziativa del Procuratore, temendo che questa possa permettere ad alcuni Pm di allungare le indagini e far slittare i termini per la loro chiusura. Pignatone in realtà ha preso una misura- tampone e non poteva fare di più. Tocca alla politica occuparsi del problema, perché solo la politica ha le competenze e i poteri per farlo. Trovando una disciplina che permetta, senza violare la libertà di nessuno, di impedire che la giustizia- spettacolo sostituisca il diritto. Per farlo però deve trovare il coraggio di sfidare se stessa, e le proprie piccinerie, e di sfidare il potere, indiscutibile, che oggi è nelle mani della magistratura e del giornalismo. Saprà farlo?

P. S. Mettendo in discussione l‘ automaticità dell’iscrizione nel registro degli indagati, il Procuratore di Roma, di fatto, anticipa un’altra discussione, importantissima. Quella sull’obbligatorietà della azione penale. Che probabilmente è una delle cause del malfunzionamento della giurisdizione. E di questo torneremo a parlare, perché è una questione di grande rilevanza