Come sono lontani i tempi di Davigo...

Ieri una delegazione dell’Anm ( l’associazione nazionale magistrati) è andata a trovare la “controparte”, ossia il Cnf, che è il Consiglio nazionale forense e rappresenta l’avvocatura. Andrea Mascherin, cioè il presidente del Cnf, ha parlato senza problemi della possibilità di un lavoro e di una ricerca comuni tra magistrati e avvocati, nella battaglia per la difesa del diritto. Eugenio Albamonte, che è il presidente dell’Anm, ha espresso lo stesso concetto, ed è arrivato a proporre una riforma concreta sulla quale impegnarsi insieme: la “depenalizzazione”, cioè la revisione del codice penale e il suo ammodernamento in senso garantista.

Per fortuna Davigo non legge il “Dubbio” - almeno, così dice - e quindi non saprà mai di questa uscita di Albamonte. Altrimenti, credo, annovererebbe l’Anm tra i complici della “compagnia dell’impunità”.

La visita dell’Anm nella “tana del nemico” è una grande novità, della quale si dovrà tornare a parlare. Perché apre nuove prospettive nella lotta sui problemi della giustizia, e chiarisce che è in corso una importantissima ridislocazione delle forze. Per capire quale possa essere la ridislocazione delle forze, bisognerà partire da un punto fermo: non esiste una magistratura sola, blocco monolitico e “autoritario”, secondo l’idea che Davigo aveva cercato di imporre. Esistono culture, idee e sensibilità molto diverse, dentro la magistratura, che discutono, si affrontano e si scontrano.

Proprio mentre Albamonte parlava di depenalizzazione dei reati, il suo collega catanese, il procuratore Carmelo Zuccaro - scusate se faccio un gioco di parole - avanzava una proposta simmetricamente opposta: la “dereatizzazione delle pene... ”. Nel senso che spiegava, in Tv e poi con varie dichiarazioni alle agenzie, che si può tranquillamente emettere la sentenza – almeno sui mass media - senza che sia stato definito il reato, e quindi – necessariamente – in assenza non solo del processo ma persino dell’indagine.

Stiamo parlando, naturalmente, delle accuse lanciate dal magistrato - sostenuto dai 5 Stelle, dalla Lega e da parecchi giornali - indiscriminatamente contro le Ong ( non contro questa o quella Ong, ma contro tutte, alla rinfusa) che passano il loro tempo in mare per salvare i migranti. Il magistrato ha spiegato di non avere nessuna prova sui rapporti tra Ong e scafisti, ma solo certezze. Affermando in questo modo l’idea che per un magistrato – peraltro di importanza notevole, essendo lui il capo della procura della nona o decima città più grande d’Italia – non contano le inchieste o gli indizi o i riscontri, o, appunto, le prove, ma contano i sospetti. E se non sono sufficienti a mettere su un processo, sono però sufficienti per emettere la sentenza.

Veramente è una vicenda paradossale. Noi stiamo parlando della più grande tragedia che ha colpito l’Europa nel dopoguerra. La fuga dei profughi dall’Africa dove divampa la guerra sta provocando una strage. Nel 2016 sono morti 5000 profughi, mediamente 14 al giorno. Questo vuol dire che circa il 3 per cento delle persone che si imbarcano, tra le quali molti bambini, muore prima di sbarcare in Europa. È una percentuale catastrofica. Naturalmente le dimensioni apocalittiche di questo problema umanitario non autorizzano a commettere reati. Se ci sono reati è giusto perseguirli. Il problema è che non si capisce assolutamente quale sia il reato che viene imputato e non si sa neppure a chi sia imputato. Né si ha idea degli indizi. Il “Fatto Quotidiano” ( che insieme a Libero, al Giornale e alla Verità) sta conducendo la campagna contro le Ong, sostiene che esiste una intercettazione. L’intercettazione però è illegale, non si sa chi l’abbia fatta, chi siano gli intercettati e la frase rivelata dal “Fatto” è priva di qualunque valore. Tipo scandalo Consip.

Il Csm ha aperto una inchiesta a a carico del Procuratore di Catania, e ha fatto benissimo. Anche perché il problema, se lasciamo che il fumo si diradi, è molto semplice. E si riassume in questa banalissima domanda: è giusto che un magistrato – in questo caso addirittura il capo di una Procura – possa avanzare una formale accusa - g ravissima – in Tv dichiarando di non avere prove e senza neppure aver formalmente aperto una inchiesta? E se non è legittimo – come appare del tutto evidente – è ragionevole che questo magistrato continui a ricoprire un incarico così delicato? Se il magistrato possiede degli elementi per accusare qualcuno, faccia il suo lavoro, cioè indaghi, ma non riveli segreti d’ufficio, perché questo è un reato. Se invece non ha nulla in mano, allora non accusi pubblicamente, cioè non calunni: perché anche questo è un reato.

Ps. Come al solito, quando succedono queste cose, il campo dei garantisti e dei manettari si scombussola. Quasi nessuno resta fermo al suo posto. Coloro che in genere sono garantisti quando sono sotto accusa i colletti bianchi, o i politici del loro partito, son passati subito dalla parte del pubblico ministero. E si impancano e rigorosi moralisti. Mentre i vecchi pubblici ministeri dei processi contro i politici ( specie contro Berlusconi), oggi fanno i garantisti.

Noi, che siamo sempre e comunque garantisti e preferiamo che la legge sia legge e non arma politica incontrollata, ci troviamo soli soletti. Stavolta – bisogna ammetterlo – in compagnia del “Fatto quotidiano”, unico giornale a restare imperturbabilmente manettaro sia quando gli imputati sono morti di fame, sia quando l’imputato è il perfido caimano, o - peggio – il “bullo fiorentino”...