Ddl su separazione delle carriere: ne parliamo con l’ex presidente Anm e già segretario di AreaDg Eugenio Albamonte.

Che ne pensa del ddl?

È una riforma che non serve alla giustizia, ma soltanto ai vari partiti politici al governo per presentare un tema di bandiera alle prossime elezioni. Mi riferisco in particolare a Fi che ha addirittura ritenuto di volerla intestare a Berlusconi, a riprova di una esigenza tutta politica e niente affatto tecnica.

Le pagine social dei suoi colleghi sono invase dalla foto di Licio Gelli. La vostra opposizione si fermerà qui, buttando a mare ogni considerazione giuridica?

È evidente che il modo in cui è stato presentato questo ddl impone di accantonare i temi giuridici e di discuterne in chiave politica. Il riferimento a Gelli serve a dimostrare plasticamente che questa è una riforma pensata da chi voleva ridimensionare il potere giudiziario, soprattutto quello delle procure, impedendo alla magistratura di svolgere un pieno controllo di legalità, in particolare, ovviamente sulla politica.

Come si lega all’odierna separazione delle carriere?

Quella idea è proprio alla radice della separazione delle carriere. È stata ripresa, in particolare da Craxi, durante il periodo degli scandali della Prima Repubblica che hanno portato a Tangentopoli. Dopo da Berlusconi, che aveva in mente una giustizia debole soprattutto nei confronti suoi e di chi esercitava in quel momento il potere politico ed economico. Chi oggi la ripropone dimostra, attraverso altre iniziative - come l’abolizione dell’abuso dell’ufficio e l’eliminazione delle intercettazioni per i reati dei colletti bianchi -, di perseguire un modello di giustizia forte con i deboli e deboli con i forti.

La premier ha detto: «I dati dicono che il 38 per cento dei cittadini si fida della magistratura» Probabilmente confonde i dati: dall'ultimo sondaggio Eurispes risulta che il 47 per cento dei cittadini ha fiducia nella magistratura, mentre solo il 36,2 nel Governo. Ma il tema qui non è una gara a chi gode più o meno della fiducia dei cittadini. Ciascuna istituzione della Repubblica dovrebbe lavorare per incrementare la fiducia che gli italiani han- no nella propria e nelle altre istituzioni, perché il sistema Paese si regge quando tutte le istituzioni sono ugualmente credibili. Il capo dello Stato che oggi ha una forte credibilità, nonostante proprio in queste ore lo si voglia di nuovo mettere in discussione, il governo, il Parlamento, ma anche gli organi di garanzia - la Corte Costituzionale, la magistratura, la Corte dei Conti, la Dna - tutte istituzioni di garanzia e di controllo che invece vengono sistematicamente delegittimate.

Ha aggiunto Meloni: «È giusto che anche i magistrati, quando sbagliano, vengano sanzionati».

Quando la premier parla immagino abbia assunto informazioni corrette e se nel parlare non ne tiene conto, evidentemente lo fa maliziosamente. I dati sul funzionamento della sezione disciplinare del Csm che riguardano i primi 8 mesi del 2023 testimoniano che ogni mese sono state avanzate 8 richieste di azione disciplinare e attivati 59 procedimenti: 12 conclusi con condanne, 12 con iniziative provvisorie fino a quel momento di misure cautelari adottate, soltanto 18 con assoluzioni. Quindi i rapporti tra assoluzioni e provvedimenti comunque censori sono di 24 a 18. Rispetto a tutto quello che succede nella giustizia disciplinare delle altre amministrazioni dello Stato, mi sembra che tutto sommato la magistratura ne esca a testa alta con un sistema di valutazione disciplinare adeguatamente severo.

Mantovano: «Chi si oppone alla separazione avrebbe bisogno di un bravo psicologo» e la riforma va fatta «per ridimensionare il ruolo delle correnti, gli unici veri partiti rimasti sul campo».

Il codice deontologico che si applica a tutti i magistrati, anche a quelli fuori ruolo, prevede che il magistrato quando rende dichiarazioni pubbliche deve orientarle a sobrietà e pacatezza. Sono caratteristiche che non vedo nelle parole di Mantovano. Noto molto di più invece la visceralità del politico, soprattutto di quel politico che va molto di moda adesso nelle fila di centro- destra che non sopporta le voci critiche.

Nordio al “Giornale”: «Senza separazione tra pm e giudici all’estero ci prendono per pazzi».

Tutte le raccomandazioni degli organismi euro- unitari spingono verso una carriera e la possibilità di facilitare il passaggio tra la funzione giudicante e quella requirente. I Paesi a cui fa riferimento Nord, quelli in cui i pm sono separati dai giudici, sono proprio quelli - Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo - in cui il pm è separato e sottoposto all'Esecutivo. Evidentemente lui si ispira a questo secondo modello. È ovvio che i governanti di quei Paesi, pensando a un pm indipendente, dicano “ma che siete pazzi”?

L’avvocato Spigarelli vi obietta: o voi pm diventati super poliziotti o andate sotto il controllo dell’Esecutivo.

Il problema è che noi stiamo imbracciando un modello che non è stato applicato in nessun Paese. Le alternative possibili, ciascuna dannosa per la democrazia e per i diritti dei cittadini, sono due: o il pm mantiene i suoi poteri, ma inevitabilmente viene attratto nell'orbita culturale della polizia giudiziaria che persegue il risultato investigativo e non il risultato processuale, oppure viene attratto in un’orbita di controllo politico da parte dell'Esecutivo.

Lei ritiene che uno sciopero dell’Anm sarebbe utile in questo momento?

Il cammino delle riforme sarà molto lungo e quindi le iniziative di protesta più appariscenti dovranno essere riservate ai momenti strategici di questa lunga gestazione che io prevedo. Sicuramente è necessario oggi, prima di arrivare a uno sciopero, sensibilizzare l'opinione pubblica, i costituzionalisti ma anche quel segmento, secondo me ampio, dell'avvocatura che, al di là dell’Ucpi, riesce a capire che un pm separato è un danno per tutti a partire dagli avvocati.

Il senatore Gasparri dice che l’Anm è eversiva se fa lo sciopero.

Veramente devo commentare Gasparri?