Il politologo Piero Ignazi ragiona sui prossimi mesi del governo Draghi, dice che «probabilmente nessuno ha voglia di creare un crisi di governo», spiega che il presidente del Consiglio «non farà la fine di Mario Monti», cioè non si candiderà nel 2023, e sottolinea che la migliore legge elettorale per la situazione italiana è «il maggioritario a doppio turno alla francese». Sulla crisi dei Cinque Stelle è netto: «Se Grillo esce dal suo isolamento, il partito riprende fiato e coerenza - commenta - ma se rimane fuori, i piccoli uomini che si contendono il partito possono portarlo al disastro».

Professor Ignazi, dopo la rielezione di Mattarella si apre per Draghi un periodo complicato, in cui dovrà tenere unita la maggioranza nell’anno pre elettorale. Ci riuscirà?

Con la rielezione di Mattarella non è cambiato molto. Fosse stata scelta una persona diversa per il ruolo di capo dello Stato si poteva pensare a un rapporto diverso, nuovo, tra Draghi, i partiti e le colazioni. Ma essendo rimasto Mattarella come garante di questo governo, non penso cambieranno molto le cose.

Dunque non crede che le fibrillazioni emerse nelle coalizioni dopo la corsa al Colle potrebbero mettere in difficoltà l’esecutivo?

Credo che tutti i partiti abbiano in realtà interesse a far finire la legislatura. C’è stata un’ubriacatura l’anno scorso con l’idea che arrivasse un carro pieno di regali dall’Europa con il Next generation Ue. Ora invece c’è la consapevolezza che non è tutto rose e fiori ma che ci sono anche problemi da affrontare e probabilmente nessuno ha voglia di creare un crisi di governo.

A proposito di crisi, pensa che quella nel Movimento 5 Stelle influenzerà il rapporto con il Pd?

Certamente creerà dei problemi. Moltissimi problemi. Perché il Pd si trova di fronte un alleato che poteva essere abbastanza significativo e che invece sta andando in pezzi. L’ipotetico asse forte Letta- Conte a questo punto si è molto indebolito. Il Pd, che è stato il vincitore delle elezioni per il Quirinale, si trova ora a essere l’attore più in difficoltà.

Pensa che la soluzione possa essere spostarsi verso il centro, a prescindere da come finiranno i problemi nei Cinque Stelle?

Non si può prescindere dal Movimento 5 Stelle, almeno per adesso. Al centro ci sono molti generali e poche truppe, e quindi non ci si può fare troppo affidamento perché sono formazioni personalistiche che non riflettono alcun orientamento politico ma soltanto ambizioni personali dei vari leader. Mettersi in quella prospettiva significa rischiare di essere destabilizzati.

Spostandosi nel centrodestra, pensa che la competizione tra Lega e Fratelli d’Italia finirà per indebolire la coalizione?

Secondo me la coalizione di centrodestra è solidissima. Sta accadendo più o meno il contrario di quello che ho appena detto riguardo al centrosinistra. Nel senso che nel centrodestra gli elettori riconoscono una forte vicinanza fra i tre partiti, compreso Forza Italia. C’è una comunanza molto forte nell’elettorato di valori e interessi che porterà questi partiti a trovare un accordo. Sono scaramucce, mentre a sinistra la situazione è ben diversa.

Quanto influirà sulle prossime alleanze tra partiti il dibattito sulla legge elettorale?

Il sistema elettorale può creare aggregazioni o altre configurazioni, dipende da quale ci sarà. Ma in questo momento sono due i settori in movimento. Uno è il M5S, che può dividersi, spaccarsi, frantumasti oppure no. Vedremo, ma credo che molto dipenda da Grillo. Se lui esce dal suo isolamento, il partito riprende fiato e coerenza. Se rimane fuori, i piccoli uomini che si contendono il partito possono portarlo al disastro. Poi c’è il centro. Tutto questo magma, che fine fa? Bisogna vedere se trova una consistenza o rimane diviso in personalismi.

Può trovare unità attorno alla figura di Draghi, da candidare nel 2023 come suggerito da alcuni esponenti come Toti e Gori?

Assolutamente no. Draghi non farà la fine di Mario Monti. Sono anche stupito che qualcuno ci pensi. Che Mario Draghi vada a fare il combattente politico insieme agli altri significa non aver capito chi è Mario Draghi. Nei prossimi mesi si metterà in posizione per assumere qualche prestigioso incarico internazionale, non per candidarsi alle elezioni. D’altronde è stato chiamato da Mattarella in una situazione eccezionale, sapendo di restare per un anno, e magari aveva anche l’idea di andare al Quirinale. Poi non è andata così, ma è inutile cercare di tirarlo in ballo.

Crede che tra un anno andremo a votare con questa legge elettorale?

Ovviamente si può andare a votare con questa legge, visto che nessuno l’ha abrogata. Se così fosse si voterà male, come è stato nel 2018. Ma essendo questa una delle peggiori leggi elettorali mai esistite sulla terra è auspicabile che si cambi in qualche modo. L’elettore deve capire cosa vota e cosa succede al proprio voto. Per farlo ci sono due sistemi, maggioritario e proporzionale, in cui in un modo o nell’altro si capisce come va a finire. Il sistema di gran lunga migliore è quello francese, un maggioritario a doppio turno, che è anche il più adatto alla situazione italiana. L’importante è evitare arzigogoli e anche il ritorno al Mattarellum. Che, ricordo, Sartori definì una cosa un po’ bizzarra.