I guai arrivati con l'ordinanza del Tribunale di Napoli sono l'ultimo dei problemi di Giuseppe Conte. E superare l'attuale stallo attraverso soluzioni in punta di diritto non aiuterà l'avvocato a rimanere in sella al Movimento. Perché sta proprio lì l'inghippo: una comunità di parlamentari (la base non ha mai contato nulla da quelle parti) che non lo riconosce come leader. Anzi, lo considera ancora un corpo estraneo, arrivato dal niente senza arte né parte per la storia grillina. Così, anche se stavolta la spuntasse, come la spuntò la scorsa estate nonostante l'assenza di «quid» denunciata da Beppe Grillo, l'ex premier non avrà alcuna possibilità di esercitare davvero il proprio ruolo. Troppi i nemici interni. E troppo più scaltri e abili di lui a orientarsi in quella Babele pentastellata dove ognuno pensa solo al proprio destino. Come Luigi Di Maio. A dispetto della vulgata, il giovane leader di Pomigliano d'Arco non è particolarmente amato dai Gruppi parlamentari. Non ha grandi truppe pronte a scatenare l'inferno a un suo cenno. Ma a differenza di Conte ha più di un vaffa sul curriculum che lo rende riconoscibile e sa tessere relazioni, ascoltare i desideri, alimentare l'insoddisfazione di deputati e senatori allo sbaraglio. E su di loro farà leva, soprattutto sugli eletti al secondo mandato, per disarcionare l'avvocato alla prossima occasione utile. Perché Conte non deve essere messo nelle condizioni di compilare le liste dei candidati alle prossime Politiche, né usare come arma il potere di deroga per decidere chi sarà degno di fare un terzo giro sulla giostra. Di Maio, che rischia di rimanere fuori dalla clemenza del capo, con ogni probabilità farà di tutto per delegittimare Conte prima della scadenza elettorale 2023. Le occasioni per un nuovo incidente sono sempre dietro l'angolo. Già questa primavera, quando si voterà per le Amministrative, ci sarà un buon pretesto per addossare all'ex premier la responsabilità di una quasi certa disfatta. Conte farebbe dunque bene a prendere seriamente in considerazione il consiglio appassionato arrivato da più di un colonnello: uscire dal M5S per creare una nuova cosa, riprendendo quel progetto autonomista abbandonato all'ultimo istante la scorsa estate. Certo, non sarà semplice senza cassa e senza brand, ma ancora lex premier può sperare di aggrapparsi a quegli scampoli di consenso rimasto dopo l'esperienza a Palazzo Chigi. Restare nel Movimento sarà comunque fatale.