«Il Sessantotto è stato un momento di rottura rispetto ad una società immobile e ad un bipartitismo imperfetto e soffocante»: un passato politico che non può che portare a votare Sì al referendum di dicembre. Carlo Panella, esponente di quella stagione politica e membro di Lotta Continua, ha firmato il manifesto "Sessantottini per il Sì" e non a dubbi sul fatto che lo scontro, ancora oggi, sia tra mutamento e conservazione.Quindi un ex-sessantottino non può che votare sì.Noi all'epoca, soprattutto nel '69 operaio, eravamo rivoluzionari ed ora non possiamo che essere riformisti. Io, in tutta onestà, oggi mi sento di dire che per fortuna non abbiamo vinto e fatto la rivoluzione. Per questo oggi, in coscienza, mi schiero dalla parte delle riforme.E questo referendum è da intendersi come riformista?Sicuramente si innesta in una società ferma, fatta di forze che non decidono: il referendum rompe il ritmo di questa fase politica. Poi è innegabile che il ddl Boschi introduca la grande novità di un meccanismo di maggiore forza del Governo.Proprio questo è l'elemento che fa storcere più il naso ad alcuni. Non si corre il rischio di esautorare il Parlamento?Guardi, da giornalista parlamentare posso dire che il Parlamento è impegnato in una moltitudine di votazioni assolutamente inutili. Come diciamo noi genovesi, il parlamentarismo si è dimostrato «una paciassa», un pastrocchio.Ma mettere così al centro il governo non rischia di squilibrare i rapporti tra istituzioni dello Stato?Io sono convinto che l'Italia abbia bisogno di un'iniezione di decisionismo democratico. Dico di più, a me il decisionismo piace, soprattutto quando si ispira ad un modello americano in cui il presidente è considerato "un dittatore abbattuto ogni quattro anni".Basta con i pesi e contrappesi costituzionali?Non esageriamo, l'equilibrio in questa riforma esiste. L'esecutivo è scalabile? Sì, tanto basta alla democrazia. Sono il primo a dire che alcune parti avrebbero potuto essere scritte meglio, soprattutto la parte sul Senato. Questo sistema, però, garantirà di poter governare per cinque anni, invece di prestarsi ai giochi interni del Partito Democratico.Quali giochi interni?Quelli per cui il centro-sinistra, ogni due anni, divora il proprio segretario. Non a caso, il leader del No è Massimo D'Alema.Quello che si sta consumando nel Pd sta assumendo i tratti di uno scontro culturale, oltre che politico.Ma certo, il modus operandi di D'Alema non è un suo tratto caratteriale, ma il tratto sovietista tipico del vecchio Partito comunista. Esattamente come nel Pci, anche oggi si utilizza la cosiddetta emergenza democratica come clausola che permette di derogare a qualsiasi principio.Da una parte gli eredi di Berlinguer, e dall'altra gli eredi di chi?Indubbiamente gli eredi di Bettino Craxi. E, anzi, denuncio il crimine della sua uccisione politica. Del resto il riformismo di Matteo Renzi ha quella chiara matrice ed è questo che fa così imbestialire i berlingueriani.È paradigmatico che lei evochi Craxi. Nell'intervista pubblicata ieri su questo giornale, Franco Russo (esponente del Sessantotto romano e oggi nei comitati per il No ndr) ha citato proprio la «democrazia decidente» di Craxi come il male da combattere votando No.Ma certo, il fronte è rimasto lo stesso. Dopo il Sessantotto, il Pci capitalizzò quella forza in modo orrendo fino ad approdare ai governi di unità nazionale del 1975-'78. In quel periodo il patto cattocomunista tra Pci e Democrazia Cristiana approvò riforme tipiche della conservazione sovietista che hanno distrutto il Paese, come quella sulla Rai e sull'equo canone. Negli anni Ottanta a questo si oppose Bettino Craxi, che le smontò una ad una pezzo a pezzo. Renzi oggi incarna quella stessa tendenza.Un fronte che sta dilaniando il Partito Democratico, e al centro sembra esserci non tanto il referendum, quanto la legge elettorale. Secondo lei Renzi cederà e la modificherà?Ma certo, perché Renzi non è un cretino e non tende al suicidio, visto che i sondaggi lo danno di 4 punti sotto rispetto al Movimento 5 Stelle. E' altrettanto chiaro, però, che non potesse farlo prima della riforma costituzionale.Proviamo a chiarire questo passaggio?Introdurre subito il premio di coalizione e le preferenze avrebbe comportato l'immediata scissione del Pd e l'inevitabile affossamento della riforma costituzionale.Invece così?Invece così Renzi punta alla vittoria elettorale e ad una scissione successiva.Eppure, a leggere i giornali, sembra prevalere il No...Certo, perché i media sono egemonizzati culturalmente dalla componente della sinistra conservatrice. La stampa di oggi, però, non rappresenta né conosce il Paese e ancora crede che D'Alema conti qualcosa al di fuori del Cremlino.E, invece, sì fa breccia nella maggioranza silente?Facendo anche solo due chiacchiere con il cosiddetto Paese reale - soprattutto in ambienti economici - io ho sentito spesso dire: "voto sì a prescindere". Un sì che equivale alla continuazione dell'evoluzione riformista e contro l'immobilismo del no.Ma, se volessimo riflettere su un'ipotetica vittoria del no, Renzi dovrebbe dimettersi?Non esiste alcun imperativo in politica. Difficile dire che cosa succederà: mi limito a notare che, ad oggi, l'unico candidato premier alternativo si chiama Massimo D'Alema.Potrebbe anche chiamarsi con il nome di un Cinque Stelle, però.Certo: oltre a D'Alema, la vittoria del no avvantaggia il Movimento 5 Stelle. Spero, però, che l'idea di un autocrate come Beppe Grillo alla guida del Paese non alletti nessuno.