Il professore e avvocato Tullio Padovani, Accademico dei Lincei, due giorni fa in Corte Costituzionale ha sostenuto le ragioni del referendum sull'eutanasia legale rappresentando "La Società della Ragione" e altre associazioni.

Come giudica la decisione della Consulta?

Profondamente sbagliata. Il dispositivo della Corte riproduce in sintesi la motivazione della sentenza della stessa Consulta del 2018 che sospese la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 580 cp (Istigazione o aiuto al suicidio) sollevata dalla Corte di Assise di Milano nel caso Dj Fabo. Si rispose, rinviando al Parlamento, che non si poteva dichiarare l'incostituzionalità perché bisognava salvaguardare le persone fragili e vulnerabili. Ora ci troviamo dinanzi alla stessa motivazione. L'errore è quindi duplice.

Perché?

Il primo errore consiste nel fatto di invocare una circostanza che non risponde alla realtà normativa. La tutela delle persone più deboli e più fragili è amplissimamente rassicurata dalla piena e integrale sopravvivenza della disposizione del terzo comma dell'articolo 579 c.p. che garantisce i requisiti di validità del consenso.

Per capirci bene: con la modifica referendaria chi avesse provocato la morte di un minorenne, di un infermo di mente, di chi si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti, o di una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno sarebbe stato comunque giudicato per omicidio?

Esatto. Questi paletti sono talmente stretti - nel senso che definiscono tutta una serie di circostanze - e nello stesso tempo talmente ampi - perché definiscono quelle stesse situazioni in modo vago - che a posteriori non sono stati mai accertati. Il 579 cp sta lì a sancire il principio di indisponibilità della vita ma non ha mai ricevuto alcuna applicazione, perché mai si è riconosciuto un valido consenso alla propria uccisione. Quindi le persone fragili sarebbero state tutelate esattamente come lo sono ora.

Qual è la seconda ragione per cui è sbagliata?

Una motivazione che era stata utilizzata per rigettare una questione di costituzionalità è stata utilizzata in sede impropria, ossia per giudicare dell'ammissibilità o meno di un quesito referendario, che invece andrebbe vagliata solo tenendo presente i casi previsti dall'articolo 75 della Costituzione (Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali). Invece i giudici costituzionali sono andati ad esaminare una eventuale normativa di risulta, facendo considerazioni completamente avulse dal contesto di ammissibilità.

Nel motivare l'ammissibilità dei quattro quesiti sulla giustizia, si sono invece usati i parametri dell'articolo 75 da lei citato.

E invece per il referendum eutanasia si è andati oltre.

Molti sostengono che se fosse passato il referendum si sarebbe creato un vuoto normativo.

Ma quale vuoto normativo? Non è vero che sarebbe accaduto questo. Quando hanno dichiarato la parziale incostituzionalità dell'aiuto al suicidio è la Corte stessa che si è chiesta come colmare il vuoto normativo. E ci è risposti di ricorrere alla legge del 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che è l'unica che esiste in materia di fine vita. La giustificazione del vuoto normativo è pretestuosa.

Il leader dell'Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, ha parlato di "sentenza politica". Lei è d'accordo?

Sono d'accordo perché non vedendo ragioni giuridiche alla base della decisione della Consulta non posso che vedere ragioni politiche.

Dettate da cosa?

Questa materia non è semplicemente divisiva perché - lo sappiamo tutti - la maggioranza degli italiani sarebbe stata favorevolissima alla soluzione prospettata dal referendum. Ma noi in Italia abbiamo l'ipoteca dello SCV.

Cioè?

Stato della Città del Vaticano che su certe materie è ente sovrano. Si ricordi, perdere il dominio in queste materie significa perdere il potere sui corpi, che è il potere fondamentale come insegnava Marco Pannella. E la Chiesa non vuole assolutamente perdere questo controllo.

La vita è un dono, le verrà risposto oltre Tevere.

Sono anche d'accordo, ma se ricevo una cosa in dono ne faccio quello che voglio. E poi ne renderò conto a chi me l'ha donata. Se esiste, quel qualcuno mi giudicherà. Non capisco come non ci si renda conto di una verità così elementare.

Ieri Vladimiro Zagrebelsky dalle colonne de La Stampa pur sostenendo che la decisione della Corte non deve destare sorpresa, ripercorrendo altre decisioni interne e sovranazionali, tuttavia ha scritto che "alla volontà libera della persona che decide di morire, la Corte ha sostituito l'autorità dello Stato. In tal modo ha adottato una posizione autoritaria". Condivide?

Certamente. Si è stabilito che in Italia esiste, e non si può contestare neanche con il voto popolare, il dovere di vivere. I cittadini italiani non sono liberi di decidere a maggioranza se la vita è un dovere. Devono subirlo invece questo dovere. Noi siamo stati condannati a vivere. La nostra vita non ci appartiene: questo ci ha detto la Corte Costituzionale.

Oppure bisogna andare all'estero o continuare a praticare l'eutanasia clandestina.

Ai giudici della Corte questo non interessa perché a loro vanno benissimo le soluzioni ipocrite perché non turbano le coscienze. I sepolcri imbiancati restano imbiancati. È difficile vivere in un Paese che da un lato si proclama democratico e liberale ma che dall'altra parte ti obbliga a vivere anche se tu ritieni che la tua vita non sia più degna di essere vissuta.

E ora che fare? Anche dal versante parlamentare non arrivano buone notizie.

Sono pessimista: secondo me non succederà più niente perché la sentenza della Corte avrà effetti indiretti ma poderosi sul Parlamento, in quanto legittimerà la stasi legislativa.