Il lungo periodo di lockdown cui siamo stati costretti per contrastare il contagio da Coronavirus si è accompagnato alla privazione di alcuni fondamentali diritti di libertà solennemente enunciati nella prima parte della Costituzione, quella che parla dei diritti e dei doveri dei cittadini. Converrà qui sommariamente enunciare le principali libertà di cui i cittadini sono rimasti privati nei mesi dell’isolamento sociale, tenendo presente che la stessa Costituzione prevede che la legge possa stabilire in via generale dei limiti ai diritti di libertà.

Al primo posto collocherei il diritto di soggiornare e circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, diritto che la legge può limitare solo per motivi di sicurezza o di sanità. Al fine di contrastare la diffusione del contagio, tale diritto è stato pressoché completamente eliminato per oltre quattro mesi e il rimedio si è dimostrato quanto mai efficace.

Analogamente sono temporaneamente scomparsi dalla vita sociale il diritto di riunione, che ordinariamente può essere limitato solo in caso di riunioni in luogo pubblico per motivi di sicurezza o di incolumità; il diritto di associarsi liberamente per fini non vietati ai singoli dalla legge penale; il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in forma associata, di farne propaganda e di esercitarne in pubblico il culto; l’accesso all’istruzione, obbligatoria e gratuita per almeno otto anni. In questo lungo elenco un’attenzione particolare va riservata al diritto al lavoro, collocato tra i principi fondamentali della Costituzione, perché gravissime saranno le conseguenze socio- economiche della prolungata privazione del suo esercizio.

Ebbene, nei mesi più cruciali della pandemia tutti questi diritti hanno dovuto cedere il passo al superiore principio della tutela della salute, definito nell’art. 32 della Costituzione come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Nel bilanciamento tra i vari diritti e interessi tutelati dalla Costituzione nessuno ha dubitato che il diritto alla vita dovesse prevalere sulle fondamentali libertà e opportunità ( penso per queste ultime al lavoro e all’istruzione) che un ordinamento democratico assicura potenzialmente ai suoi cittadini o comunque ai soggetti che risiedono sul territorio dello Stato. La rinuncia ai diritti e alle libertà è stata pacificamente e ordinatamente accettata dalla stragrande maggioranza del popolo italiano, che ha così dato una grande prova di consapevolezza del pericolo rappresentato dalla pandemia, di maturità e di senso di responsabilità nell’adeguarsi, anche in nome dell’interesse della collettività, alla limitazione se non alla totale scomparsa degli spazi e dei diritti di libertà che sino ad allora avevano contrassegnato la vita individuale e sociale.

Questa opinione non è però condivisa da tutti. In particolare, alcuni giuristi hanno manifestato la preoccupazione che la rinuncia ai diritti individuali sia stata troppo docilmente accettata, senza che i destinatari si rendessero conto dei rischi che la sia pure temporanea privazione dei diritti di libertà avrebbe comportato per il futuro. Si è persino arrivati a prefigurare il lockdown e le conseguenti privazioni delle libertà individuali come una sorta di prova generale di un sinistro futuro in cui, a prescindere dalle situazioni di emergenza e di necessità connesse alla pandemia da coronavirus, il potere avrebbe cercato di diminuire o eliminare gli spazi di libertà dei cittadini.

Al di là di queste fosche prospettive, le preoccupazioni reali sono di ben altra natura, legate al disastro economico e al profondo disagio sociale che colpirà gli strati più deboli e emarginati della società italiana nelle fasi 2, 3 e via dicendo del dopo pandemia. Almeno per ora difendiamo e apprezziamo il grande senso di responsabilità dimostrato dalla stragrande maggioranza della popolazione nei mesi del forzato isolamento sociale e della privazione dei diritti, evitando di interpretare questa pagina positiva della vita sociale del nostro Paese come se fosse espressione di un popolo di pecoroni docili e sottomessi.

Siamo stati bravi e possiamo dirlo con forza, consapevoli che ci attendono prove ancora più dure per fronteggiare il disastro economico da Coronavirus.