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Forza soverchiante dell’esercito israeliano a Gaza, violenza verbale e provocazioni – il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha detto che la Striscia di Gaza è una «miniera d’oro immobiliare» da spartire con gli Stati Uniti - formano, nella strage che si sta consumando in Medio Oriente, una miscela pericolosa che può incendiare tutta la regione. Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali e Studi strategici nell’Università Cattolica di Milano, teme che senza un impegno serio da parte degli Stati Uniti i piani del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, continueranno a fare danni incalcolabili.
Professor Parsi, ormai nessuno è più in grado di fermare Benjamin? Bibi si sta giocando le sue ultime carte?
Netanyahu sta giocando tutte le carte che ha, come se non ci fosse un domani. Poi, che siano le ultime carte e che qualcuno lo possa fermare è tutto da vedere. Gli unici che potrebbero fermarlo sarebbero gli americani, ma Trump ha dimostrato di essere totalmente in sintonia e a rimorchio della posizione di Netanyahu.
È illusorio pensare di sradicare Hamas?
Certo. Questo lo dicono anche i militari israeliani. Sicuramente non sradichi un’organizzazione terroristica, che è anche un’organizzazione politica, sorta dalla disperazione in cui il popolo palestinese versa dal 1967 almeno, ma potremmo dire anche dal 1948. Non sradichi Hamas manu militari, ammazzando i civili, donne, bambini e anziani, facendo una strage, come sta avvenendo in maniera eclatante a Gaza e in maniera strisciante, in termini di distruzione di una comunità, in Cisgiordania.
Sembra che in questa fase si navighi molto a vista: ripulire Gaza senza pensare a un reale futuro per questa parte di Medio Oriente. Cosa ne pensa?
Che è una follia. Un’ambiziosa follia. È la torre di Babele, chiamiamola così. Quello che sembra che ci sia nella testa di Netanyahu è trasformare Gaza in parte annettendola in parte realizzando una organizzazione territoriale di memoria sudafricana, come ai tempi dell’apartheid, o forse creare un ghetto con condizioni di vita sempre peggiori, così da spingere nel tempo i palestinesi a cercare fortuna altrove. Per quanto riguarda la Cisgiordania, Netanyahu parla apertamente di annessione, nega qualunque chance allo Stato palestinese, addirittura esporta la guerra nel Golfo Persico, non solo verso l’Iran, ma anche verso il Qatar, dopo che l’ha portata nello Yemen. Mi pare che siamo di fronte a una prospettiva di una crisi regionale che potrebbe diventare più grande e da cui dobbiamo assolutamente non essere attratti. Su questo punto voglio fare anche un’altra riflessione.
Dica pure…
Non dobbiamo in alcun modo sostenere le autorità israeliane e, come ha detto ieri Anna Foa in una intervista al “Corriere della Sera”, dobbiamo trattare le autorità israeliane con la medesima durezza con cui trattiamo la Russia di Putin.
I Paesi arabi, a partire dal Qatar, come reagiranno nel breve termine?
Da un lato stanno cercando di capire come possono coalizzarsi per arrestare la brutalità alla quale stiamo tutti assistendo. C’è, da una parte, una preoccupazione nei confronti del popolo palestinese, che è sempre stata molto bassa, ma che viene stimolata anche a livello d’opinione pubblica dalla brutalità della guerra israeliana contro i palestinesi. Dall’altra parte c’è la consapevolezza che l’eccesso di potenza militare israeliano, che fino ad ora era considerato tutto sommato una controassicurazione rispetto alle aspirazioni egemoniche iraniane, oggi rappresenta un problema in sé. Quindi, iniziano a guardare a Israele preoccupati, come quando guardano all’Iran.
“Tomba dei palestinesi”, “Gaza brucerà”, “Fossa comune dei palestinesi”, “Genocidio”, sono tutte espressioni e parole che vengono usate in questi giorni. Rischiano di esasperare gli animi?
Affrontiamo, a mio parere, una faccenda curiosa. Il termine genocidio fu elaborato da un giurista ebreo polacco, che nel 1948 riuscì a farlo inserire nei documenti delle Nazioni Unite con uno scopo ben preciso: non definire l’unicità della Shoah, ma fare della Shoah un parametro, un modello, per poter estrapolare una categoria di delitto e, quindi, una categoria che fosse applicabile ad altre situazioni storiche future. Quando si dice che il genocidio è solo quello della Shoah, è una follia. Non è solo una sciocchezza concettuale, ma viola persino lo spirito delle elaborazioni di quella categoria. L’utilizzo del termine genocidio non è un esasperare gli animi, ma è chiamare le cose con il loro nome. Esaspera gli animi chi, essendo in una posizione di decisione politica in Israele, si esalta dicendo “Gaza brucia” o questa sarà la “tomba dei palestinesi”. Un conto è descrivere una realtà terribile con parole terribili; un conto è usare quelle parole per esaltare l’odio. Non confondiamoci.
L’economia israeliana potrebbe subire un duro colpo a dispetto delle pulsioni autarchiche di Bibi Netanyahu?
Finché i contribuenti americani saranno disponibili a farsi tosare dalla loro presidenza per sostenere Israele in termini di trasferimenti di aiuti militari, economici e tecnologici, a fronte di nessun corrispettivo economico, Tel Aviv può andare avanti ancora a lungo. La stragrande maggioranza degli aiuti americani all’estero vanno a Israele. Quella israeliana è una economia sussidiata dagli Stati Uniti.
Il clima si sta facendo pesante anche nelle università. Dal dissenso si rischia di passare alla violenza con schieramenti contrapposti?
La madre dei violenti è sempre incinta, come la madre dei cretini. Non c’è dubbio che bisogna essere assolutamente fermi nel respingere qualunque forma di violenza sia fisica che verbale. Qualunque forma di intolleranza deve essere bandita anche nelle università e soprattutto nelle università, che sono luoghi di confronto delle idee. Bisogna anche fare molta attenzione a non esasperare gli animi, gridando “al lupo, al lupo!” quando il lupo non c’è. Paragonare la situazione attuale a quella degli anni Settanta è violenza, oltre che inconcepibile per qualunque persona che ha vissuto negli anni Settanta.