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On. Lupi, dopo il patatrac in commissione sui bambini in carcere lei propone una pacificazione: in che modo?
Innanzitutto dobbiamo partire dal contesto. Rispetto agli anni scorsi la situazione attuale è migliorata, perché il numero di bambini in carcere è di gran lunga inferiore rispetto al passato. Questo ci mette nelle condizioni di poter fare chiarezza e intervenire legislativamente rispetto a un indirizzo che dobbiamo dare, cioè quello di impedire che dei bambini crescano dietro le sbarre. C’erano diverse iniziative legislative e credo che su questo tema bisognerebbe lavorare tutti insieme piuttosto che dividersi.
Cosa puntualmente accaduta con Lega e Pd che se le sono date di santa ragione, fino al ritiro della proposta di legge. Come se ne esce?
Gli aspetti in gioco sono due. Da una parte l’aspetto prioritario dal mio punto di vista e cioè che un bambino non può pagare la colpa di una madre perché verrebbe punito due volte. Considerando anche il fatto che, in particolare in tenera età, il rapporto tra bambino e madre è indissolubile e quindi la condizione dell’uno non può prescindere da quella dell’altro.
L’altro aspetto?
L’altra faccia della medaglia è come coniugare questo diritto inalienabile e indiscutibile con la certezza della pena. Nella nostra idea il carcere è anche luogo della rieducazione, non solo dell’inferno. E quindi occorre considerare il tema della condizione delle nostre carceri, del lavoro dignitoso dietro le sbarre, del percorso da intraprendere una volta espiata la pena. Ma se affrontiamo la questione come è stato fatto finora, non si va da nessuna parte.
Secondo il Pd gli emendamenti del centrodestra stravolgevano la legge…
La lega voleva portare avanti in particolare l’aspetto della certezza della pena. Ma se vogliamo coniugare questo punto con i diritti dei bambini la soluzione è semplicissima. Consiste nelle pene alternative, nella concessione dei domiciliari, insomma ci sono diverse strade percorribili. Ancor più visto che siamo di fronte a numeri limitati, credo che non sia giusto scontrarsi come una sfida all’ok corral su temi in cui le soluzioni sono a portata. L’importante è non farne una bandierina.
Il Pd avrebbe dovuto proseguire comunque con il percorso in Commissione?
Non entro nelle decisioni degli altri partiti, certo in questo momento vedo una china preoccupante da parte del Pd data dalla nuova segretaria Schlein. Per cercare di recuperare consenso, si sta spostando su identità molto estreme, in particolare con l’esasperazione del tema dei diritti. In questo modo si rischia di trasformare una serie di punti sui quali si può discutere in bandiere ideologiche e non come questioni che possono essere poste e affrontate. Alzare sempre i toni è un errore, ma la maggioranza non deve cadere in questo tranello.
Pensa che sia solo l’opposizione ad alzare i toni o anche dalla maggioranza servirebbe più moderazione?
Beh, di certo nell’ultimo mese dall’opposizione si sono fatte battaglia molto aspre, basti pensare alla maternità surrogata o alle accuse di “disumanità” sulla tragedia di Cutro. Insomma non mi sembra ci sia l’interesse di porre delle questioni ma solo di sventolare bandiere. Il centrodestra ha vinto le elezioni e ha il diritto di governare il paese secondo una propria visione che di certo non è massimalista.
C’è ancora spazio per il dialogo?
Direi che occorre far sedimentare un attimo il problema. Se il Pd ritiene che questo tema sia una priorità, come credo, gli strumenti per riattivare l’iter ci sono tutti. Siamo ancora in commissione, quindi all’inizio del percorso legislativo. E anzi proprio questa legge può essere l’occasione per il dialogo tra maggioranza e opposizione. Per quanto riguarda la Lega, penso che quando gli animi sono esasperati bisogna far passare un po’ di tempo. Quindi calma e sangue freddo. Siamo legislatori e dobbiamo avere senso di responsabilità. Considerata anche la dimensione “limitata” del problema, per quanto grave, è giusto provare a trovare una soluzione comune.