500MILAI CUBANI ARRESTATI PER DISSENSO

di Domenico Letizia* e Domenico Vecchioni**

Dopo decenni di silenzio, la morte di Fidel Castro torna a far riaccendere i riflettori su democrazia, diritto e libertà nell’isola caraibica. Nonostante il passaggio del timone a Raul, il governo ha intensificato le “operazioni di sicurezza” a danno dei dissidenti. Si stima che dalla Rivoluzione siano finiti in galera mezzo milione di cubani accusati di non essere allineati. Perché nella Cuba del dopo- Fidel la libertà politica resta un sogno

Dopo decenni di silenzio la morte del “leader” della rivoluzione cubana, Fidel Castro, torna a far riaccendere i riflettori su quelle che sono le problematiche di democrazia, diritto e libertà sull’isola caraibica. Sono numerosi gli attivisti e le Organizzazioni Non Governative che guardano a Cuba come il Paese dell’emisfero occidentale nel quale il governo è responsabile delle peggiori violazioni e soppressioni dei diritti umani. Durante il suo lunghissimo governo, Castro ha eliminato le libertà civili nell’isola, il pluralismo politico è pressoché inesistente e non vi è alcun diritto di associazione, assemblea e manifestazione. Nel corso degli ultimi anni, numerose organizzazioni hanno denunciato la violazione dei diritti fondamentali nel Paese, Amnesty International e Human Rights Watch denunciano “un ferreo controllo di oppositori, attivisti dei diritti umani e giornalisti indipendenti” e una “permanente e sistematica violazione dei diritti dei cittadini”. Dopo il passaggio del timone da Fidel a Raul, nonostante le apparenti aperture su libertà di movimento e commercio, la struttura politica resta intatta, piuttosto il governo ha intensificato le “operazioni di sicurezza” a danno dei dissidenti, moltiplicando gli arresti di numerosi attivisti per bloccarne l’azione di denuncia politica. Negli ultimi anni però il modus operandi della repressione da parte delle autorità governative è cambiato: non vengono più inflitte lunghe condanne al carcere, ma ritroviamo una forte invadenza e un capillare controllo dello Stato sulla vita di ogni singolo cittadino.

La storia ricorderà la Cuba castrista per la continua e completa violazione dei diritti civili e fondamentali dei cittadini. Ancora oggi la libertà di espressione a Cuba è una lontana illusione, considerando le continue minacce rivolte agli attivisti e ai cittadini che osano mettere in discussione le scelte politiche ed economiche del governo. L’attualità cubana è molto problematica, Castro ha ridotto Cuba ad un Paese più che mai dipendente: rimesse degli emigrati e dollari dei turisti sono le voci più importanti del bilancio cubano e nell’isola un profondo baratro divide chi ha amici nel partito e chi no, chi ha familiari all’estero che inviano dollari e chi no. Si stima che dalla vittoria della Rivoluzione siano finiti in galera mezzo milione di cubani accusati, di volta in volta, di non essere allineati con il regime comunista dell’isola. Su una popolazione di 11 milioni di abitanti la dittatura castrista vanta uno dei più alti tassi di carcerazione politica del mondo. “Sono stato arrestato più di 50 volte nel 2015. La polizia mi ha rotto il naso e il timpano, ma dobbiamo mostrare la realtà di repressione in cui viviamo”, ha recentemente dichiarato Antonio Rodiles, uno dei leader dell’opposizione, alla vigilia della storica visita a Cuba dell’ex presidente Usa Barack Obama. L’unica nota positiva, invece, possiamo riscontrarla nel non utilizzo della pena capitale. Nel 2013 Cuba ha superato i dieci anni senza effettuare esecuzioni, divenendo un Paese abolizionista di fatto, come descritto dal Rapporto 2016 sulle esecuzioni capitali di Nessuno tocchi Caino. Da quando è stata presa la decisione di commutare tutte le condanne a morte nell’aprile 2008, a Cuba non sono state comminate condan- ne a morte né effettuate esecuzioni. Nonostante ciò, Cuba si è astenuta sulla Risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

La dirigenza cubana naturalmente nega che nell’isola si verifichino violazioni dei diritti dell’uomo e che ci sia repressione politica. Lo stesso Raúl Castro ha affermato, in occasione della conferenza stampa congiunta con il Presidente Obama, che a Cuba non esistono prigionieri politici. Ci sono solo persone detenute perché hanno violato la legge. E in qualche modo ha ragione! Se cioè si stabilisce che criticare Fidel o Raúl o il regime è un reato penale, allora è evidente che tutti i detenuti sono “comuni”. Se il codice prevede che invocare libertà e democrazia è un reato, allora sono tutti “delinquenti” coloro che manifestano, invocando appunto libertà e democrazia. Se persino distribuire pubblicamente la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo dell’ONU ( pure ratificata da Cuba) è vietato, non sorprende che chi lo fa venga considerato un “criminale”. Se le inoffensive signore vestite di bianco ( le benemerite Damas de blanco) che sfilano la domenica davanti alla chiesa di Santa Rita, vengono considerate “potenziali sovversive”, non c’è da meravigliarsi se spesso e volentieri vengono fermate e arrestate. Il fatto è che a fronte delle limitate aperture recentemente attuate in campo economico, tutto l’apparato autoritario e repressivo è rimasto intatto. Cuba continua ad essere il Paese dell’uomo solo al comando, il Paese del partito unico, del sindacato unico, del pensiero unico, dei media strettamente controllati, del capillare controllo politico del territorio, il Paese dove tutto è vietato, eccetto ciò che è autorizzato. Del resto la stessa costituzione cubana prevede un singolare organo, ispirato alla costituzione sovietica, che dà il tono della struttura piramidale del potere: il Consiglio di Stato ( Consejo de Estado). Organo costituzionale che ha, allo stesso tempo, poteri legislativi, esecutivi e giudiziari. In effetti durante il periodo tra le sessioni del monocamerale Parlamento ( due volte l’anno per sessioni che durano un paio di giorni!), il Consiglio di Stato emana provvedimenti legislativi. Dal Consiglio di Stato dipende inoltre il Consiglio dei ministri ( che a Cuba non ha molta rilevanza “politica”, quanto piuttosto amministrativa) e nomina il Procuratore generale e le alte cariche giudiziarie. Finora il Presidente del Consiglio di Stato ha ricoperto anche la carica di Primo Segretario del Partito Comunista ( fonte del vero potere) e di Comandante in Capo delle forze armate. Ora chi è stato ed è alla testa del Consiglio di Stato? Fidel Castro lo è stato per quarant’anni, Raúl lo è da un decennio. Una spaventosa concentrazione di poteri nelle mani di un solo uomo. Un sistema del genere ha potuto agevolmente risolvere il “problema” della dissidenza: tutti gli oppositori politici sono o traditori della patria o spie prezzolate al servizio di una potenza straniera. Quindi, chi si azzarda ad esprimere il proprio dissenso viene incarcerato o comunque condannato a vivere la tragica vita del dissidente a Cuba ( perdita del lavoro, ostracismo dei vicini, isolamento, repressioni di vario tipo, difficoltà per i figli a scuola, pressioni psicologiche a cambiare idea ecc…).

La strada verso la libertà a Cuba è ancora lunga. Crederemo nella bontà dei famosi “cambiamenti” promossi da Raúl Castro, al di la degli affari che la nuova borghesia militar- industriale potrà con gli imprenditori americani, solo quando i cubani potranno esprimere le proprie idee senza essere arrestati, quando ci saranno elezioni libere e multipartitiche, quando sarà garantito il diritto a manifestare, quando non sarà più un reato distribuire pubblicamente la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, quando le Damas de blanco potranno liberamente sfilare davanti alla chiesa di Santa Rita. Quando finalmente i cubani potranno decidere del loro destino. Solo in quel momento festeggeremo la “svolta” cubana, la fine della dittatura, la rinascita dei diritti umani sull’isola dei Castro.

*MEMBRO DEL CONSIGLIO DIRETTIVO DI NESSUNO TOCCHI CAINO E DELLA LEGA ITALIANA DEI DIRITTI DELL’UOMO **DIPLOMATICO E SCRITTORE, GIÀ AMBASCIATORE ITALIANO A CUBA

L’AVANA VANTA ANCORA UNO DEI TASSI PIÙ ALTI AL MONDO DI CARCERAZIONE PER MOTIVI “IDEOLOGICI”. LE PENE SI ACCORCIANO MA IL CONTROLLO SULLA VITA DEI CITTADINI È SEMPRE PIÙ CAPILLARE