È il sessismo (o l'omofobia, il razzismo, l'intolleranza) o è la Rete? Domanda inutile: è il mix tra i due elementi che compone il cocktail letale, quello che ha ucciso Tiziana Cantone e tante altre, e altri, prima di lei.Se mai ci sarà una legislazione internazionale (e per essere efficace solo tale può essere) sulla Rete, probabilmente porterà il nome di Amanda Todd. Non perché sia la prima vittima della Rete ma perché è lei, la ragazzina di Vancouver morta per una foto senza reggiseno, che ha reso evidente il problema con un video di otto minuti e passa pubblicato su Youtube un mese prima di suicidarsi, il 10 ottobre 2012, a 15 anni. Nessuna parola, il viso mai inquadrato, bianco e nero. La ragazza si limita a far sfilare di fronte alla webcam una serie di foglietti che raccontano una storia allucinante.Tre anni prima l'adolescente canadese aveva incontrato uno sconosciuto in rete e aveva accettato la richiesta di un flash a seno nudo. Lo sconociuto si fa risentire un anno dopo, chiede altre immagini, altrimenti minaccia di diffondere in rete la tremenda foto della bimba a seno nudo. Lei rifiuta, lui procede. Segue una vertiginosa discesa verso gli inferi. Amanda viene messa all'indice, mollata dagli amici, trattata da puttana. Entra in depressione, comincia a bere. I genitori decidono di cambiare città. Il torturatore la rintraccia e ricarica con la foto su Facebook. Amanda resta di nuovo sola, messa all'indice anche nel nuovo ambiente. Un gruppo di amici, tra cui un ex fidanzato e la sua girlfriend, la aggrediscono e la pestano. Lei tenta il suicidio, la salvano, si aggrappa a quel video-denuncia che però non serve a niente. Solo dopo la morte diventa virale. Lo hanno visto, a tutt'oggi, una ventina di milioni di persone.Il tormentatore, un turco-olandese che si è sempre proclamato innocente, verrà individuato e arrestato nel 2014. Ma, come nel caso di Tiziana Cantone, se la responsabilità di chi diffonde per primo in Rete può essere individuata, accertata e sanzionata, è impossibile fare lo stesso sul principale elemento omicida: la persecuzione collettiva, il linciaggio mediatico, la messa al bando, in Rete e spesso anche in classe o nel quartiere.Un paio d'anni prima di Amanda Todd era stato il suicidio di Tyler Clementi, un ragazzo gay di 19 anni buttatosi dal George Washington Bridge il 22 settembre 2010, a far suonare le sirene d'allarme. Nessun social in quel caso. Tyler aveva chiesto al compagno di stanza al college di lascargli libera la camera tre giorni prima del suicidio. Quello lo aveva fatto, ma lasciando aperta la webcam per poi dare un'occhiata dal computer di un altro compagno di college. In quattro o cinque avevano visto il giovane gay baciarsi col fidanzato. Niente di troppo hard ma la violazione della privacy era stata sufficiente a sconvolgere Tyler sino al salto fatale nell'Hudson. Il caso aveva destato gran clamore negli Usa, ma più per il suo aspetto omofobo che per il ruolo svolto dalla Rete.Ruolo invece fondamentale in moltissimi altri casi. Come quello di Audrie Pott, 15 anni, impiccatasi a Saratoga il 12 settembre 2012. Tre giorni prima era stata spogliata a forza da un gruppo di ragazzi ubriachi a una festa: qualche scritta vicino alle parti intime, qualche foto presa col telefonino e poi postata on-line. Una storia molto simile a quella di Carolina Picchio, la ragazzina di Novara che nel 2013 era stata ripresa mentre vomitava ubriaca con intorno ragazzi che la offendevano con pesanti allusioni sessuali.Spesso quello che colpisce nelle tragedie della Rete è la sproporzione tra il peso dell'immagine rubata e le conseguenze devastanti della loro pubblicazione. Dipende in massima parte, certamente, dal fatto che quasi sempre si tratta di adolescenti e quasi-bambini, dunque particolarmente fragili nella loro autostima e troppo sensibili all'approvazione o al discredito sociale. Ma altrettanto certamente è la Rete stessa che può amplificare e far percepire come insopportabili cose che, nella vita reale, sarebbero meno sconvolgenti. Per Carolina Picchio quel video era diventato un marchio infamante e indelebile perché così lo aveva visto una parte dei suoi coetanei, che da quel momento non avevano più smesso di insultarla sui social.Non è sempre così, ovviamente. Rhateh Parsons, una diciassettenne canadese impiccatasi il 7 aprile 2013, si è impiccata dopo essere stata violentata e filmata da un gruppo di ragazzi, quando era troppo ubriaca per rendersi conto di cosa stava davvero accadendo. A darle il colpo di grazia, dopo una vicenda già in sé pesantissima, è stata la diffusione della scena on-line. Ma per casi come questo o come quello di Tiziana, ce ne sono altri in cui la sproporzione tra la causa scatenante e le conseguenze salta inevitabilmente agli occhi.Katie Webb, una bimba di 12 anni inglese, si è uccisa nel 2013 perché le compagne di scuola la prendevano in giro senza sosta in rete perché sostenevano che si vestiva e si pettinava male: troppo fuori moda per vivere. In un altro caso, il suicidio di Megan Meier, tredicenne di Saint Louis, c'è addirittura lo "scherzo" dei genitori di un'amica con cui la ragazzina aveva litigato. Vendicativi, i due adulti si inventano un profilo, un bel ragazzo che prima diventa amico di Megan, poi, all'improvviso inizia a perseguitarla: «Sei brutta. Sei grassa. Sei una puttana. Nessuno ti vuole come amica». Fatale.La presenza del sesso è frequente, ma in realtà non necessaria. E' il martellamento sull'autostima quello che uccide davvero e a volte distrugge intere famiglie. Il caso delle sorelle Gallagher ha sconvolto il Regno unito nel 2012: la più piccola, Erin, 12 anni si è uccisa dopo un bombardamento di insulti on-line, stessa sorte toccata un mese e mezzo prima a una quindicenne, Ciara Pugsley, presa di mira sul ask. fm, probabilmente il peggiore tra i social quanto a campagne d'odio. La sorella maggiore di Erin, Shannon, ha deciso di seguire la sorte della sorella pochi giorni dopo.Tra gli aspetti minacciosi della Rete c'è anche questo: non c'è bisogno che all'origine del linciaggio ci sia una volontà omicida e a volte neppure consapevolmente persecutoria. I due adulti dementi che volevano punire Megan per aver rotto l'amicizia con la figlia non immaginavano quale sarebbe stato l'esito della loro stupidissima idea. E probabilmente non si rendevano conto di stare uccidendo nemmeno i ragazzotti di Borgo d'Ale, Vercelli, che si erano divertiti a infilare Andrea Natali, 27 anni, suicidatosi nel 2015, in un cassonetto della spazzatura per poi inondare la rete con quelle che dovevano sembrargli immagini comiche e magari quasi innocue.La Rete, poi, è imprevedibile. Proprio il caso di Tiziana Cantone è eloquente. A distruggerla, sembrerebbe, non è stata tanto l'intimità violata, della quale era almeno in una certa misura consapevole, ma l'incredibile circo che era poi montato intorno a quei video. Non per le immagini stesse, però. Di video cuckold ne circolano a migliaia e girando per la Rete è tanto facile imbattersi in un pompino amatoriale quanto nell'ultima istantanea del gatto di casa. La scintilla è stata quella frase che la povera ragazza si è poi ritrovata dappertutto insieme alla sua foto, persino stampata sulle magliette: «Stai a fa' il video? Bravoh».Che in questa situazione sia necessaria una legge per proteggere le vittime potenziali della rete è certo. Altrettanto certamente dovrebbe trattarsi di una legge meditata: proprio perché le dinamiche della Rete sono diversissime da quelle di una molestia o di un'aggressione nella vita reale. Sull'onda della tragedia di Tiziana, la Camera si appresta a discutere oggi una legge di taglio opposta, ispirata come sempre nelle infinite emergenze italiane dalla convinzione che basti alzare le pene per risolvere i problemi.La legge, originariamente, doveva salvaguardare i minori. Con un tratto di penna la si è estesa all'intera popolazione, e la sola idea di poter affrontare un quadro così complesso semplicemente allargando all'intera popolazione le norme a tutela dei minori in rete dice tutto sull'intelligenza che guida i legislatori. Prevede sei anni di carcere per chi diffonde immagini a scopo offensivo e il sequestro di telefonini e pc. Nel concreto non servirà a niente. Culturalmente farà danno.