«Basterebbe sfogliare non gli archivi della Cassazione ma affidarsi alla collezione del Dubbio per avere chiaro come il sequestro preventivo dei beni abbia assunto nel tempo proporzioni che l’hanno trasformato in un mostro giuridico». Non usa mezzi termini il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, commentando le frasi della presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo. E sulla “black list” degli impresentabili spiega: «Non vorrei che un approccio sicuramente encomiabile da parte della presidente Colosimo venga travisato e finisca per diventare una formidabile arma nelle mani dei giustizialisti un tanto al chilo che pretendono di giudicare le persone sulla base di un cognome o di una parentela».

Vicepresidente Mulé: crede che l’idea di vincolo familistico in tema di impresentabili debba valere anche per i candidati alle elezioni, come suggerito dalla presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo?

Premesso che la presidente Colosimo è animata certamente da uno spirito legalitario che le fa onore, bisogna andarci coi piedi di piombo e approfondire il tema. Dal punto di vista della normativa esistente, le prefetture già ora fanno dei controlli sui candidati. E quindi segnalano laddove ci sono situazioni “antipatiche” il tipo di problema eventualmente esistente. La cosa sulla quale non sono d’accordo è stabilire per legge che fino al quarto grado di parentela ci sia uno sorta di incandidabilità o si possa elevare uno stigma nei confronti del soggetto definendolo impresentabile.

Una sorta di inversione dell’onere della prova.

È un meccanismo che va contro la Costituzione e contro l’idea stessa della politica. I partiti hanno la responsabilità di vagliare le candidature e quindi rispetto a quegli accertamenti che già vengono svolti autonomamente da parte delle prefetture devono essere in grado di scegliere e valutare. Ci sono stati casi di parenti, anche strettissimi, di mafiosi che hanno preso di gran lunga le distanze.

Ce ne ricorda qualcuno?

Giuseppe Cimarosa, figlio di una cugina di Messina Denaro, prese le distanze dal boss e per questo venne messo ai margini della famiglia. Se un domani dovesse decidere di candidarsi dovremmo accoglierlo a braccia aperte, altro che impresentabile. Penso anche al caso dell’assessore siciliana Nuccia Albano, figlia di un condannato per mafia, la quale è stata medico legale a stretto contato con la procura di Palermo negli anni d’oro. La sua parentela non c’entra nulla rispetto al suo grado di civismo e all’aver percorso una vita totalmente diversa. Ma c’è un altro aspetta di cui mi preme parlare.

Prego.

Chi decide se un parente di secondo, terzo o quarto grado si è discostato o meno dal vincolo mafioso? Chi dà la patente riabilitativa alla persona che ha quella parentela? Non vorrei che un approccio sicuramente encomiabile da parte della presidente Colosimo venga travisato e finisca per diventare una formidabile arma nelle mani dei giustizialisti un tanto al chilo che pretendono di giudicare le persone sulla base di un cognome o di una parentela.

Colosimo ha anche sottolineato un aspetto importante, cioè quello delle confische e dei sequestri preventivi, che si chiamano tali, ha detto, «perché laddove ci fosse un errore, i beni possono tornare laddove sono stati tolti». Che ne pensa?

Basterebbe sfogliare non gli archivi della Cassazione ma affidarsi alla collezione del Dubbio per avere chiaro come questo strumento abbia assunto nel tempo proporzioni che l’hanno trasformato in un mostro giuridico. Mi spiace definirlo tale, ma tale è. Ci sono soggetti assolti perché il fatto non sussiste che continuano ad avere la maledizione del sequestro dei beni. E questo non è tollerabile. Non è sulla base di una sospetta contiguità negata dalle sentenze che si può insistere con una condanna. Che non è penale ma alla quale continua a corrispondere una condanna sociale, civile, lavorativa per una persona da parte di un’autorità che si sostituisce al giudice naturale. Ma che civiltà è?

La presidente Colosimo tuttavia sta portando avanti una battaglia per riscrivere quanto passato per verità storica sul caso della trattativa Stato-mafia, pur se affondata dai giudici: pensa che ci siano resistenze e pressioni su Colosimo da parte dei magistrati presenti in Antimafia?

Conoscendo la presidente Colosimo sono certo che sia persona che non si fa né intimidire né influenzare né subisce pressioni da alcuno. Anzi. Il tentativo lodevole che sta perseguendo di provare a illuminare con luce nuova i fatti del ’92, alla luce del rapporto mafia appalti e alla luce di quello che successe poi a Capaci e via D’Amelio, fa onore a lei e chi non è animato da un pregiudizio o peggio da soltanto dall’idea di voler proseguire in un’azione che è stata portata avanti quando si trovava impegnato nelle Procure della Repubblica. Ma ricordo che testimoni del tempo non sono solo i magistrati che siedono in commissione, ma anche deputati e senatori, come il sottoscritto, i quali hanno vissuto quella stagione accanto a dei mariti viventi, come il generale Mori e il commissario De Donno, che più di tutti conoscono la genesi del rapporto mafia-appalti, lo sviluppo di esso e il mancato approdo a ciò che doveva essere e non fu. Non saranno le posizioni di parte che prende il senatore Scarpinato o altri commissari a farmi deviare di un millimetro da ciò che io penso rispetto all’importanza che ha quel rapporto sulle stragi del ’92.

Forza Italia sembra vacillare meno sui temi del garantismo rispetto, ad esempio, a Fd’I: crede che il partito di Meloni debba in qualche modo rassicurare una certa parte di magistratura?

Le impressioni in politica terminano al momento della sintesi, cioè dei voti che si esprimono in commissione e in Parlamento. So che il programma che ci siamo dati sulla giustizia si sta iniziando ad applicare. La riforma della custodia cautelare va in questa direzione, così come la riforma delle intercettazioni e la revisione del rapporto sacro e inviolabile tra difensore e indagato. Ma va in questa direzione anche la madrina, se non la vogliamo chiamare madre, di tutte le riforme, che è la separazione delle carriere. Nei voti in Parlamento non ci sono state divaricazioni tra Fi e Fd’I, poi certo Fi ha non solo un’anima garantista ma persone in carne e ossa la cui storia è di uomini liberi che nel nome della libertà fanno del garantismo un principio sul quale nessuno è disposto a scendere a compromessi.

I compromessi sono il sale della politica, e lei lo sa meglio di me…

Ma la giustizia non è grigia. O è bianca o è nera. E per questo dobbiamo proseguire nel cammino intrapreso. A partire dalla riforma della confisca dei beni, ragionando sul nostro testo in base al principio secondo il quale una persona innocente deve essere rimessa in possesso dei beni che le appartengono.

Cosa pensa delle parole di Salvini sui «giudici che dovranno decidere» come è morto Alexei Navalny?

Nessuno deve morire in galera e lo Stato dovrebbe assicurare che un detenuto sia custodito nella maniera migliore. Ma il punto è che Navalny non doveva nemmeno esserci in prigione, perché vittima di un regime che reprime il dissenso in qualsiasi forma. E il fatto che non si sappia come sia morto e che il corpo non venga resistito alla famiglia getta profonde oscurità sul regime di Putin. E su tutti quelli che avrebbero dovuto garantire quantomeno l’incolumità di Navalny dietro le sbarre dove, ripeto, non doveva stare.