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Ci avevano detto che la democrazia era in pericolo, attaccata da forze oscure e minacciose, demolita dalle fake news, dal negazionismo digitale, dalle post-verità, dagli hacker russi, dal cavallo di Troia dei social, dall’elezione di Donald Trump, dalla Brexit, dai trionfi dell’internazionale populista. E, nel nostro cortile di casa, dall’ascesa di Matteo Salvini e della sua “bestia”, la macchina della propaganda leghista guidata da Luca Morisi accusata di distorcere i meccanismi del consenso e di truccare il gioco democratico. Ce l’avevano detto e noi ci abbiamo creduto anche con una certa apprensione. Ma ci sbagliavamo. È bastato che l’incauto Morisi finisse dall’altra parte della barricata per capire che, di fronte alle falangi armate della gogna perbenista, la sua “bestia” era un innocuo cagnolino. E che l’invincibile armata sovranista non era poi così invincibile, ma piuttosto una combriccola inquietante e sgangherata di politici mediocri, buoni ad aizzare il popolino su facebook ma del tutto inetti nella gestione del potere. La vera “bestia” non è il software della Lega, ma (quasi) tutto il sistema dell’informazione italiana, un gigantesco tribunale mediatico in servizio permanente con l’occhio fisso sul proprio avversario politico, non importa di quale schieramento. A leggere le “inchieste” di Repubblica (ritornata ai racconti pruriginosi delle olgettine e del bunga-bunga) sulla notte del festino con gli escort rumeni sembrerebbe che si parli di Pablo Escobar o del “Chapo”, ma oltre a due ridicoli grammi di cocaina rinvenuti con la misteriosa boccetta contenente la “droga dello stupro”, nella villa di Luca Morisi non è stato commesso alcun reato, non c’è stata nessuna attività di spaccio e non ci sono state violenze nei confronti di nessuno. Una non notizia data in pasto agli italiani da una stampa sempre più bestiale.