«Finalmente un giudice ha riconosciuto che non ci sono prove, che è stato un processo indiziario. Adesso ho più speranza».

Sono poche le parole che l’ex chirurgo Pierpaolo Brega Massone affida a sua moglie, a commento della sentenza di venerdì scorso che ha cancellato l’ergastolo. Parole che pronuncia, come da sempre negli ultimi 10 anni, nella sala per i colloqui del carcere di Milano Opera, dove sta scontando un’altra condanna definitiva a 15 anni e mezzo per truffa e lesioni nei confronti di una ottantina di pazienti.

Accusa, quest’ultima, dalla quale continua a professarsi innocente. Ma il macigno col quale aveva convissuto per anni, quello più doloroso e infamante, adesso è sparito: né lui, né il suo collega Fabio Presicci entravano in sala operatoria accettando l’eventualità di uccidere i propri pazienti.

Una verità, ancora non definitiva, stabilita nell’appello bis dai giudici della Corte d’Assise d’appello di Milano, che hanno riqualificato il reato a carico dell’ex chirurgo toracico della Clinica Santa Rita e del suo vice da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale e riducendo le condanne, rispettivamente, a 15 anni e a 7 anni e 8 mesi.

I due erano accusati di omicidio volontario in relazione alla morte, rispettivamente, di quattro e due pazienti in sala operatoria. Ma questa sentenza, ora, ridà speranza anche alla moglie dell’ex chirurgo, Barbara Magnani.

«Non ho mai creduto, nemmeno per un istante, che mio marito fosse il mostro che avevano dipinto. E oggi ne sono ancora più convinta», ha confidato al Dubbio. Una certezza mai scalfita in dieci anni di udienze, senza mai perderne una, con la convinzione che suo marito non fosse l’uomo raccontato dalla stampa, quello descritto dagli atti processuali che, impietosi, ne tracciavano un identikit terribile.

A giugno dello scorso anno la Cassazione aveva messo tutto in dubbio, annullando con rinvio la condanna all’ergastolo pronunciata per due gradi di giudizio, apparendo quasi inesorabile: per i giudici non si può parlare di dolo per le vittime, uccise, secondo i pm, da «interventi inutili», effettuati solo per «monetizzare» i rimborsi del sistema sanitario nazionale. Ma la corte ha escluso anche l’aggravante del nesso teleologico, ovvero «la finalità di lucro» degli interventi eseguiti dai medici imputati, condannati a risarcire le parti civili.

Signora, si aspettava questa sentenza?

Per com’era andato il processo fino ad oggi, la paura di un altro risultato terribile, come quelli che avevamo avuto fino ad ora, era davvero molto forte. È stata un’emozione fortissima e anche se 15 anni sono sempre 15 anni, vediamo finalmente la luce in fondo al tunnel. Adesso, finalmente, possiamo cominciare a pensare ad un futuro, che sta alla fine di questo incubo.

Ha visto suo marito dopo la sentenza?

L’ho visto oggi ( ieri per chi legge, ndr). Era contento, l’ho visto più sereno. Non non se l’è sentita di dire molto sulla sentenza, se non che finalmente è stato evidenziato l’aspetto indiziario di questo processo. Ed è già concentrato sugli step successivi, sulla possibilità di uscire, un giorno. Gli ho chiesto se aveva qualcosa da dire in particolare, ma non riesce a farlo, ancora. L’unica cosa che ha voluto evidenziare è che finalmente un giudice ha avuto il coraggio di riconoscere che in questo processo non ci sono mai state prove vere e proprie.

Come ha preso la notizia sua figlia?

È stata molto contenta. La prima cosa che mi ha chiesto è stata: adesso rifacciamo la richiesta per l’affidamento in prova? Certo, è chiaro che da un punto di vista pratico non è cambiato nulla ancora e non percepisce molto questi aspetti. Ma il suo primo pensiero è stato quello, poter rivedere finalmente suo padre libero. Avevamo già fatto una richiesta di affidamento in prova, ma l’udienza era stata fissata il 25 settembre, quindi in concomitanza con la prima udienza dell’appello bis. Il magistrato di sorveglianza, probabilmente, non se la sentiva di lasciarlo libero, visto che c’era ancora in discussione un processo così pesante.

Vi siete sentiti subito dopo la sentenza?

Sì, anche se purtroppo è stato solo per poco, non più di 10 minuti. Si sa che non si riesce a parlare granché in quei momenti, in quel modo. Ho aspettato di vederlo per parlarne. Posso dire che sin da subito mi ha detto che sinceramente non si aspettava una condanna così. Aveva molta paura che a Milano andassero avanti con il piede pesante, come avevano fatto finora.

Parlate spesso del processo, delle vostre sensazioni a riguardo?

Sinceramente, da quando questo incubo è iniziato, forse a livello scaramantico, teniamo le nostre paure per noi, non ne parliamo quando siamo insieme. Quando siamo a colloquio cerchiamo di evitare di parlare di quello che sarà, del futuro che ci aspetta alla fine del processo. Avevamo talmente tanta paura di affrontare l’argomento… è sempre un momento pesante quello del colloquio, perché è molto breve, molto intenso e quando tutto finisce i detenuti tornano nelle proprie celle, i familiari nelle proprie case e non c’è poi più modo per mitigare o stemperare certi stati d’animo, quelli che si vivono in quell’ora. Per cui il colloquio richiede una preparazione preliminare che sia i detenuti sia noi familiari siamo costretti a fare, per superare quei momenti. È per questo che cerchiamo di affrontare il meno possibile gli argomenti che creano apprensione e tensione. E finiamo per non parlarne proprio.

Come ha saputo suo marito della decisione dei giudici?

Dalla televisione, in carcere. Quando ha sentito che non si parlava più dell’ergastolo ma di 15 anni ha avuto un colpo. In senso positivo, però, questa volta. Si aspettava che qualcosa, dopo la decisione della Cassazione dello scorso anno, potesse cambiare, ma considerando com’era andato fino ad ora il processo… In questi 10 anni abbiamo sempre avuto solo brutte notizie, mai una cosa positiva. Così si credeva che anche questa volta le parole che tanto aspettavamo non sarebbero arrivate.

Per questo non ha voluto assistere alla sentenza?

Sì, non è voluto venire in udienza perché era stufo di fare quella fatica soltanto per venire a prendere legnate. Forse il fatto che non sia venuto ha portato fortuna.

Come sono andate le cose in questi anni?

Molti conoscenti, ma anche pazienti e collaboratori, la maggior parte del personale medico che conosco e conosceva mio marito, si sono sempre dimostrati dalla sua parte. Poi ho avuto anche riscontri positivi da parte di persone dalle quali non mi aspettavo nulla, addirittura ho ricevuto email di sostegno al mio indirizzo di lavoro. Però, ovviamente, sono stati tanti anche gli aspetti negativi. La gente, poco per volta, ha smesso di salutarmi. Anche alcuni vicini di casa, persone che ci conoscevano da anni, perché abitavamo lì da sempre. Mi hanno tolto il saluto, mi hanno guardato di traverso.

Ma fondamentalmente la mia paura più grande era per mia figlia.

Le è successo qualcosa, in particolare?

A scuola ci sono stati un paio di episodi, qualche parola di troppo da parte di altri bambini, compagni di scuola, che facevano riferimenti a cose che magari avevano sentito a casa. Però, ad essere sinceri, devo dire che è sempre stata ben tutelata dagli insegnanti e dalla scuola. Fortunatamente non è successo niente di grave.

E a lei?

Ho ricevuto per un lungo periodo delle lettere anonime, anche se da un po’ di tempo non ne sto ricevendo più. Non dicevano nulla di particolare, non c’erano dei testi, delle parole, solo dei segni, segni di disprezzo nei confronti di mio marito, chiari riferimenti negativi a lui. Avevo anche pensato di fare delle denunce, ma avrei dovuto far fare perizie calligrafiche e comunque si sarebbe trattato di denunce contro ignoti. E ho talmente tante cose per la testa che alla fine ho preferito lasciar perdere.

Per anni suo marito è stato dipinto come un mostro.  Crede che ora le cose cambieranno, adesso?

Ancora è davvero troppo presto per dire se l’atteggiamento nei confronti di mio marito cambierà. Sono passati troppi pochi giorni dal giorno della sentenza e non ho ancora avuto modo di avere dei riscontri. Ma è facile prevedere che, come al solito, ci saranno le persone che saranno a favore e le persone che non lo saranno. Spero solo che tutto finisca presto.

In questi anni ha avuto modo di parlare con il collega imputato assieme a suo marito, il dottor Presicci?

Ci siamo visti soltanto alle udienze, non ho avuto modo di parlarci diversamente, anche perché abitiamo in due città diverse, lui a Milano, io a Pavia. Però ogni volta che ci vedevamo durante il processo non era necessario parlarci. Ci salutavamo, ci abbracciavamo forte e basta. Condividiamo, purtroppo, una sorte infame. E basta quella. C’è poco da dire, purtroppo.

Dopo tutti questi anni in tribunale, ha fiducia nella giustizia?

Adesso posso dire di essere tornata ad averne, in quanto, in effetti, non ne avevo proprio più. Perché rimane comunque il grosso rammarico del fatto che non sono mai riuscita a capire per quale motivo non gli abbiano mai concesso questa benedetta o maledetta perizia super partes.

Quella che invece è stata concessa in sede civile, giusto?

Esatto. In quei casi, tutte le perizie che sono state depositate hanno sempre dato ragione a mio marito. Si tratta di quattro o cinque casi, perizie che accertano che l’intervento è sempre stato fatto a regola d’arte, con tanto di indicazione chirurgica, soprattutto. Quindi a maggior ragione non ho mai capito per quale motivo nel procedimento penale non siano mai state prese in considerazione. Quelle perizie non facevano che rafforzare la mia convinzione del fatto che mio marito non fosse assolutamente quel mostro che avevano descritto. E dopo la sentenza di venerdì ne sono ancora più sicura.