Nessuno aspettava di vedere i duellanti alle quattro del mattino dietro la chiesa dei carmelitani scalzi con tanto di padrini, ma il “Duello sulla giustizia” di sabato a Milano tra Antonio Di Pietro e Clemente Mastella qualche scintilla pareva prometterla. Soprattutto perché si era a Milano, il regno di “mani pulite” che venticinque anni fa incoronava il suo reuccio intonando “Di Pietro facci sognare”, mentre a mille chilometri di distanza, in Campania, Mastella viveva, insieme a tanti altri esponenti politici dei partiti tradizionali, l’ultima stagione della Prima Repubblica. Sono passati venticinque anni, i due contendenti sono stati ministri nello stesso governo Prodi e tutti e due si sono dimessi per motivi giudiziari. Solo che uno è stato prosciolto alla velocità della luce, l’altro ha dovuto aspettare dieci anni per avere la sentenza di primo grado che ha sancito la sua innocenza. E oggi non esiste solidarietà alcuna tra di loro. Perché uno continua a essere un Pubblico ministero, anche se ex, e l’altro un imputato, anche se ex. Ma poche scintille, perché Di Pietro non accetta la sfida, per ben quattro volte ripete «non sono qui per parlare di questo». E si inalbera quando si arriva al capitolo Davigo e al tema della prescrizione: se a un Pm è consentito di ricorrere in appello dopo un’assoluzione lunga dieci anni, che cosa si fa, si aspettano altri anni e altri ancora per la cassazione, mentre Beppe Grillo ripete ossessivamente “Mastella, Mastella, Mastella”?

Niente da fare, Di Pietro non ci sente: invece di lamentarsi, borbotta, meglio ricorrere al Csm come ha fatto lui nei confronti dell’ex collega bresciano Fabio Salo- mone. Qualcuno di buona memoria potrebbe ricordare che un silenzio tombale del Di Pietro parte lesa era caduto dopo che il tribunale di Brescia nell’assolvere le persone che Di Pietro aveva querelato aveva emesso una sentenza in cui il denunciante era descritto più come un avventuriero che come un magistrato. In quell’occasione l’ex Pm non aveva presentato nessun ricorso in appello né al Csm nei confronti del giudice Maddalo autore delle motivazioni della sentenza.

Oggi Di Pietro vorrebbe parlare d’altro, dei cartelli d’impresa e di politica che inquinarono la politica e che portarono poi alla nascita di tangentopoli. Ma nessuna autocritica sull’uso politico di quelle indagini, né sulla custodia cautelare né sui morti, né sulla selezione politica degli imputati e dei partiti da perseguire e in seguito distruggere. Mastella non ci sta. Non gli sfugge la presenza di Susanna Mazzoleni seduta in prima fila ( un po’ annoiata in verità) ad ascoltare il marito e butta lì la storia della propria, di moglie, che ha subito per nove mesi i provvedimenti giudiziari e anche la gogna mediatica, sempre definita come “Lady Mastella” e con i carabinieri fin dentro la sala operatoria in ginecologia. Caro Di Pietro, non si può fare «chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto». Ma c’è un muro di gomma, il dibattito si fa surreale.

Di Pietro: «Se i tempi della giustizia sono lunghi è colpa del legislatore». Mastella: «Ma quando il legislatore cerca di cambiare, i magistrati lo fottono». Il futuro dei due mancati duellanti? L’ex imputato, oggi sindaco di Benevento: farò politica ancora, per rispetto ai tanti che erano con me e sono stati maltrattati. L’ex Pm, finalmente ridendo: io faccio parte dell’Associazione combattenti e... Solo che si sbaglia e invece che reduci dice “reclute”. La nuova recluta di D’Alema e Bersani?