PHOTO
Facciamo un altro po’ di deficit, spiega Luigi Di Maio. Tanto siamo già al 132 per cento del Pil, che volete che sia? Non è forse vero che il Giappone è a quota 240 e il Buthan a 110? E allora... E ancora: rinviamo di uno o due anni il rientro dal debito. In fondo siamo già a 2.341 miliardi e spicci di euro: un record, ma che importa? Ok, ci sarebbe l’obbligo del pareggio di bilancio inserito nell’articolo 81 della Costituzione, in base al quale «il ricorso all’indebitamento è consentito solo... al verificarsi di eventi eccezionali». Ma appunto: forse il rispetto del Contratto di governo non lo è?
Chi si stupisce - o magari rabbrividisce - di fronte alla disinvoltura con cui il vicepremier pentastellato affronta temi delicatissimi legati ai conti pubblici, vuol dire che non ha capito il mainstreamche aleggia sull’Italia. O che nel “governo del cambiamento”, la serietà di un titolare di dicastero non si misura sulla capacità di rispettare i vincoli nazionali ed europei quanto nel soddisfare le promesse elettorali.
Per cui mettiamola così. Se il problema è che il titolare dell’Economia, Giovanni Tria, è fermo sull’ 1,6 per cento del rapporto deficit/ Pil mentre le richieste di Lega e Cinquestelle su flat tax, reddito di cittadinanza e superamento della Fornero lo porterebbero al 2,2, non può esistere che lo scostamento di uno 0,6 per cento - i famosi “decimali” invocati dal sottosegretario leghista a palazzo Chigi, Giancarlo Giorgietti - diventi il detonatore che fa saltare prima Tria e poi l’intero governo esponendo il Paese ai rischi di un devastante attacco speculativo. Il superministro, “tecnico” o “istituzionale” che si voglia, e i suoi colleghi politici trovino al più presto un’intesa, magari confidando nell’opera di mediazione del premier Conte, al fine di interrompere una spirale che procura allarme ai mercati e ai cittadini. La Ue capirà e abbozzerà: tanto che altro può fare?
Ma se invece - come troppi segnali lasciano supporre - il nodo non è meramente finanziario bensì squisitamente politico, nel senso che in ballo c’è la determinazione della maggioranza gialloverde a dimostrare che può agire senza limite alcuno, né nazionale né internazionale, e dall’altra parte la vera o presunta difesa dei fondamentali di compatibilità economico- istituzionale in un circuito che unisce Bce, il Quirinale, la presidenza del Consiglio e il guardiano dei conti che è Tria, allora il pericolo è che ci si metta su un piano inclinato che può diventare inarrestabile. E alla fine del quale nessuno sa cosa ci sia: magari un cumulo di macerie.
Perchè la verità è che sui conti, pur scontando sia scaramucce che veri e propri agguati, alla fine ci si mette sempre d’accordo. Ma se il dissidio assume forme, diciamo così, ideologiche e diventa una prova di forza totalizzante in virtù della quale le istituzioni invece di lealmente collaborare si fronteggiano cercando l’umiliazione o la sottomissione l’una nei riguardi dell’altra, allora la partita diventa incendiaria fino a rasentare l’avventurismo.
Mettiamo infatti che Tria, dietro al quale in tanti assicurano (?) ci sia il Colle, non demorda: che succede? Se si dimette, bisogna individuare un successore. Pur tralasciando gli effetti che una simile situazione avrebbe sullo spread, chi dovrebbe sostituirlo? Un ministro più consono alle esigenze gialloverdi, tipo Savona? Ma se un paio di mesi fa il capo dello Stato si oppose a questa soluzione, perché oggi dovrebbe accettare? E nel caso in cui il Quirinale tenesse fede alle sue prerogative, Di Maio nuovamente lancerebbe la proposta di impeachment? Oppure per sostituire Tria sarebbe necessario far dimettere l’intero governo? Anche qui, e sempre mettendo da parte i riflessi sui mercati compreso e il rischio di esercizio provvisorio, quale altro governo potrebbe sostituirlo? Se con la stessa maggioranza, torneremmo al problema di cui sopra. Se con un’altra ( ma quale?), apriti cielo. Per non parlare della possibilità, davvero catastrofica, di tornare alle urne. Scenari fantasmatici, oltre che da incubo: meglio lasciar perdere. Mancano una manciata di giorni alla presentazione in Parlamento della legge di Bilancio. E’ auspicabile che il nervosismo di queste ore invece di sfociare nell’isteria lasci il posto ad atteggiamenti più prudenti e responsabili. Giova ripeterlo: gli italiani hanno votato M5S e Lega nella speranza, più o meno fondata, che risolvano i problemi. Non che si divertano a fare gli sfasciacarrozze.