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Circa un decennio è trascorso da quando è stata introdotta la "valutazione della professionalità" per i magistrati. L'articolo 11 del decreto legislativo 160 del 2006 (modificato dalla legge 111/2007) stabilisce che essa avvenga sulla base di quattro parametri: la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno.Numerose circolari del Consiglio superiore della Magistratura (oltre ad individuare la documentazione utilizzabile ai fini della formulazione del giudizio: rapporti del Capo dell'ufficio, pareri dei Consigli giudiziari, provvedimenti e verbali a campione, statistiche, produzioni spontanee) hanno specificato gli indicatori da prendere in considerazione per ciascun parametro.Ad esempio, per valutare la "capacità" tra i parametri da considerare ci sono: la tecnica redazionale ed espositiva; l'uso dello strumento informatico; l'aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale; le conoscenze interdisciplinari e la cultura ordinamentale; la capacità decisionale. Ma si deve guardare anche alle modalità di gestione dell'udienza, al livello di contributi forniti in camera di consiglio, all'attitudine del magistrato ad organizzare il proprio lavoro e così via.Per quel che riguarda la "laboriosità" diventano rilevanti dati come il numero dei procedimenti definiti e il rispetto degli standard medi di definizione dei procedimenti.La "diligenza" viene valutata sul rispetto degli impegni prefissati (numero di udienze, termini per il deposito dei provvedimenti, etc.), sulla tempestività del compimento delle funzioni di direzione amministrativa e, ancora, sulla partecipazione alle riunioni previste dall'ordinamento giudiziario per la discussione e l'approfondimento delle innovazioni legislative nonché per la conoscenza e l'evoluzione della giurisprudenza.Per valutare l'"impegno" si considerano elementi come la disponibilità alle sostituzioni o la partecipazione a corsi di aggiornamento.Si tratta di un sistema molto complesso che induce alcune riflessioni.Ogni sistema di valutazione retroagisce sui comportamenti del soggetto valutato. Provo a fare un esempio noto a chi ha frequentato l'Università. Spesso gli studenti che devono sostenere un esame seguono intere sessioni di quell'esame e trascrivono le domande poste dai professori e il tipo di risposte considerate soddisfacenti. Si cerca, attraverso questa defatigante attività, di affinare la preparazione alla luce delle domande che vengono chieste. Insomma, poiché l'obiettivo è superare l'esame, l'insieme degli sforzi tesi all'apprendimento si riduce a conoscere tutto ciò che permette di raggiungere quel risultato. Ecco, allora, che le modalità di verifica della preparazione retroagiscono sui contenuti della preparazione stessa.Un altro esempio si ricava proprio dalla storia della valutazione dei magistrati. Per molto tempo (dagli anni 40 a metà degli anni 60 in poi del secolo scorso) il concorso per ottenere l'avanzamento di carriera si articolava intorno a prove scritte ed orali ed alla valutazione dei titoli (provvedimenti redatti o altri scritti), da parte di una commissione composta da consiglieri di Cassazione o equiparati. Ne derivava che i magistrati focalizzavano la propria attenzione più che sull'obiettivo di amministrare la giustizia sullo studio per l'esame e sulla tecnica di redazione del singolo provvedimento (a tacere della tendenza a uniformare i propri orientamenti a quelli della Cassazione, i cui membri erano chiamati a valutare i "candidati" alla promozione).Un sistema di valutazione è necessario: esempi di persone non all'altezza del ruolo o inclini a disattendere i propri doveri esistono in ogni categoria professionale.Ma quello attualmente in vigore per i magistrati sembra da una parte privilegiare l'aspetto quantitativo rispetto a quello qualitativo (si veda lo spasmodico ricorso alle cosiddette statistiche) e, dall'altra, attingere a criteri di difficile interpretazione/applicazione: come si valuta, ad esempio, la "capacità decisionale"?Il rischio è quello di trasformare il magistrato in un burocrate senza più alcuna motivazione ideale per il quale le cause sono solo pratiche da sbrigare. Una serie di fenomeni (sui quali si tornerà un'altra volta) induce molti a credere che l'importante sia avere una sentenza indipendentemente da quale essa sia. Una idea che non coincide con quella di giustizia.Un sistema di valutazione non appagante rischia di demotivare i magistrati migliori e di rendere appetibile la professione unicamente a quelli che cercano un "buon impiego".