PHOTO
Sono due casi diversi: uno è di mala- giustizia e l’altro è di malo- giornalismo. Li metto insieme solo perché più o meno da una trentina d’anni, forse un po’ di più, giornalismo e magistratura hanno molto spesso intrecciato i propri destini, e anche le proprie capacità di “colpire”. E questo ha creato un po’ di guasti. Esaminiamo questi due casi. Il caso Graziano e il caso Massaro. Stefano Graziano è un militante di sinistra ed è stato importante dirigente del Pd in Campania. In agosto fu indagato con accuse gravissime: concorso in associazione camorristica e corruzione. Un paio di mesi dopo è stata esclusa l’associazione camorristica, ieri è stata esclusa anche la corruzione. Anzi, hanno detto i giudici, tutti i suoi atti politici e amministrativi erano volti a difendere i beni pubblici.
Graziano in aprile fu costretto a dimettersi dal suo incarico di leader del Pd campano, lo scandalo fu grande e probabilmente contribuì in modo molto, molto pesante a determinare la travolgente sconfitta politica subita dal Pd, a Napoli, alle elezioni di giugno. Chissà se qualche giornale chiederà scusa a Stefano Graziano definito “camorrista”. Vogliamo dare un’occhiata ai titoli dei giornali del 27 aprile scorso? Il titolo principale della prima pagina del Corriere della Sera non lasciava scampo: «Voti e camorra, bufera sul Pd». Che messaggio consegna al lettore questo titolo? Un messaggio inequivocabile: Il Pd ha a che fare con la camorra. Appena più sfumata Repubblica: «Il presidente del Pd in Campania indagato per camorra e voti». Sempre titolo principale di prima. Molto simile il titolo del Messaggero, che però dà un po’ meno risalto alla notizia, dedicandogli il secondo titolo della prima pagina. Più netto invece il Giornale: titolo in testata e spietato: «Il consulente di Renzi indagato per camorra». Poi c’è il Fatto Quotidiano, che titola più o meno come gli altri: «Campania, indagato il leader Pd, voti per favori ai boss casalesi».
L’editoriale di Marco Travaglio è intitolato in modo lieve lieve: “Gomorra della nazione”, con riferimento a quel “partito della nazione” che si diceva allora fosse il disegno politico di Renzi. Come dire: il vero partito di Renzi è Gomorra, cioè il Pd è camorrista.
La lettura delle prime righe dell’articolo lascia atterriti. Travaglio nota che Renzi nei giorni precedenti aveva affermato l’indipendenza del Pd dalla magistratura ( intenzione che a Travaglio sembra una cosa pessima) e commenta: «Si capisce il perché: il presidente del Pd in Campania preferiva la subalternità alla camorra, per l’esattezza al clan dei Casalesi». Punto: caso chiuso. Graziano è un picciotto dei casalesi.
Facciamo una scommessa: io penso – e spero di sbagliarmi che nessuno dei giornali che ho citato - tantomeno il Fatto e a maggior ragione Marco Travaglio - chiederà scusa. Io non dico di fare come vorrebbe Grillo ( che recentemente sostenne che quando un giornale scrive una cosa sbagliata poi il direttore deve chiedere scusa pubblicamente con il capo coperto di cenere): però, certo, qualche riga, e un bel titolo grosso in prima pagina per correggere il clamoroso errore di aprile sarebbe cosa giusta.
I giornalisti dovrebbero forse capire che a nessuno di noi piace sentirsi dare del camorrista gratuitamente. E forse dovrebbero capire anche che non è detto che un se un magistrato ha un sospetto sulla probità di una persona, questo fatto di per se basti a farci sentire sicuri che quella persona è un mascalzone. Non solo i magistrati sbagliano, talvolta ( forse un po’ più di talvolta), ma è persino possibile che non sbaglino ( nel senso che esistano effettivamente degli indizi, e dunque sia giusto aprire una indagine) ma che poi tutti gli indizi cadano e l’innocenza appaia chiara e limpida. Se i giornali hanno trasformato i sospetti del magistrato in certezza di colpa, hanno combinato un bel guaio. Hanno inquinato la verità. E questa è la ragione per la quale chiedere dimissioni immediate per chiunque sia coinvolto in un’inchiesta non è un esercizio di democrazia ma è un esercizio di quella nuova ideologia che è stata battezzata “giustizialismo”. E che impera nel nostro giornalismo. Giustizialismo è democrazia sono incompatibili.
*** Poi c’è il caso- Massaro. Con il quale abbiamo aperto l’edizione di oggi del Dubbio. E’ una storia di terribile malagiustizia che ha determinato, per inettitudine dei magistrati, la rovina della vita di un uomo innocente. L’origine di questa mala- giustizia è un caso di mala- intercettazione e di malo- pentitismo. Il povero Massaro, sospettato, a causa delle accuse infondate di un pentito, dell’omicidio di un suo amico, è stato intercettato mentre diceva al telefono a sua moglie, in dialetto pugliese “ devo trasportare ‘ o muers”, che pare voglia dire “l’oggetto ingombrante”, e quest’oggetto, come hanno confermato molti testimoni, era uno slittino. Gli investigatori hanno pensato che avesse detto “ ‘ o muert”, il morto, e gli è sembrato sufficiente per sbatterlo in cella per una vita intera.
Ora Massaro è uscito e ha potuto riabbracciare suo figlio che aveva visto l’ultima volta quando era nato solo da un mese. Il piccolo adesso ha 21 anni. Nessuno pagherà per questo errore tragico, nessuno neppure indagherà sulle ragioni dell’errore, perché esiste una legge non scritta che dice che se l’azione di un professionista crea un danno grave, il professionista viene indagato, se però questo professionista è un magistrato, non viene indagato.
Ma non è neanche questo l’aspetto essenziale di questa tristissima vicenda. L’aspetto essenziale è che bisognerà prima o poi rendersi conto che l’uso “a pioggia” delle testimonianze dei pentiti e delle intercettazioni, non solo viola spesso i principi del diritto e del garantismo, ma porta ad autentici ribaltamenti della verità e della giustizia. Non è vero che moltiplicare all’infinito le intercettazioni garantisce un miglior risultato nella lotta al crimine. Porta invece, probabilmente, a un aumento forse insopportabile degli errori giudiziari.