Il decreto sicurezza è stato parecchio limato, pare dopo l’intervento del presidente Mattarella, che aveva fatto notare al governo l’incostituzionalità di alcuni articoli. Restano tuttavia dei punti oscuri, come la decisione di far valere la sentenza di primo grado come sentenza definitiva, ai fini della concessione del diritto d’asilo, che sembra in contrasto con l’articolo n. 27 della Costituzione; o la decisione di togliere la cittadinanza a chi non è nato in Italia e viene condannato in via definitiva per terrorismo. In questo secondo caso però - al di là della discutibile decisione di dividere in due categorie i cittadini, che invece dovrebbero essere tutti uguali di fronte alla legge - c’è il fatto che stiamo parlando di un numero veramente limitatissimo di persone. Quanti sono stati, negli ultimi dieci anni, in Italia, i cittadini italiani di origine straniera condannati in via definitiva per terrorismo? Parliamo forse di alcune unità, forse di nessuno. Sarebbe come fare un decreto che proibisce alle donne lituane più altre di due metri e venticinque di salire in metropolitana. Occorreva davvero un decreto urgente per stabilire questa misura?

I problemi politici che pone il decreto sono proprio questi due. Il primo è il dubbio fortissimo sul carattere di necessità e di urgenza che la Costituzione prevede come condizione necessaria per emanare un decreto legge. Il secondo è il metodo scelto per affrontare la questione sicurezza ( in realtà nel decreto ci sono solo misure per colpire l’immigrazione, il tema della sicurezza resta abbastanza sullo sfondo): ridurre i diritti, almeno per una categoria di persone, e cioè gli stranieri gli ex stranieri.

La prima questione non è indifferente. La mancanza di urgenza - confermata dagli stessi dati forniti recentemente dal ministero dell’Interno sull’immigrazione - e la inconsistenza di alcune misure ( nonché il rischio che altre siano cassate in futuro dalla Corte Costituzionale) non può che lasciare l’impressione che il decreto non sia stato concepito come un atto di governo ma come un semplice atto di propaganda politica. E questa non è una bella impressione.

L’aspetto più grave però, certamente, è il secondo: la scelta di ridurre i diritti. Su questa linea si è decisa anche l’abolizione del permesso umanitario e la drastica riduzione degli Sprar, che erano strutture riconosciute come serie ed efficienti da tutti gli esperti.

Il problema non è solo quello che riguarda gli immigrati, che da domani si troveranno in condizioni ancor più deboli ed esposte alle ingiustizia, e anche alla xenofobia, rispetto al passato. E’ un problema che riguarda tutti noi, perché quando si imbocca una strada di riduzione, anziché di ampliamento, dei diritti delle persone, diventa poi difficile fermarsi. Certo, si inizia coi più deboli, con gli “altri”, gli stranieri: poi si va avanti, ci suoi allarga, si scopre che una società con pochi diritti è più facile da governare rispetto a una società con molti diritti.