L’emergenza Coronavirus passerà, ma resta la fragilità “sistemica” del Paese rispetto alle emergenze. Gli italiani sono noti per essere bravi nell’affrontare le situazioni eccezionali.

Anche questa volta molto probabilmente ne usciremo fuori. Del resto, gli esperti ci spiegano che l’andamento dell’emergenza segue una curva “a campana”: una rapida salita verso l’alto, un breve periodo di relativa stabilizzazione e poi la discesa, fino al ritorno alla normalità. Nel frattempo – pare nel giro di otto- dieci mesi – dovrebbe essere disponibile il vaccino.

Al mondo però sta arrivando un segnale – non dal popolo italiano, ma dal nostro sistema dei pubblici poteri – di debolezza strutturale. Quando il presidente del Consiglio dice che l’aumento dei casi in Italia è dovuto al fatto che da noi i controlli sono più intensi sta, a ben vedere, denunciando l’assenza di un controllo del vertice dell’Esecutivo sull’emergenza. Le politiche di comunicazione, infatti, sono parte essenziale della gestione di queste crisi. La scelta fatta del vertice del governo è stata quella di condividere con il Paese la propria ansia, forse nel timore di essere accusati di avere “nascosto” la verità. La prevenzione e il controllo potevano essere realizzati in maniera meno eclatante, ma non meno efficace, come probabilmente sta accadendo in altri Paesi europei. Il rapporto tra politica e verità è difficile: Max Weber, ad esempio, in considerazione del ruolo svolto dalla stampa, invitava la classe dirigente alla prudenza circa la pubblicazione integrale delle clausole di Versailles, altrimenti «non si giova alla verità ma piuttosto la si oscura, abusandone e scatenando le passioni». Dire tutto subito senza prima capire e filtrare significa spesso togliersi il peso di dosso e scaricarlo sull’opinione pubblica.

Se così, non si tratta però di una scelta casuale. Essa è indice, appunto, di una debolezza sistemica. Certo, esiste un aspetto culturale da non sottovalutare: la paura di essere accusati di “nascondere” le notizie è tipica della filosofia dei Cinquestelle. Gli esponenti di questo movimento, ad esempio, tempo fa hanno proposto di mandare integralmente in diretta registrare le sedute di tutte le Commissioni parlamentari.

Ma tutti sanno che questo paralizzerebbe i lavori, perché i confronti in Commissione a volte servono proprio a sciogliere i nodi tecnici, politici o personali facendo a meno dei riflettori. Non è ipocrisia, è la politica. L’alternativa è il Grande Fratello, ovvero, come diceva Weber, l’opacità assoluta nascosta dalla trasparenza assoluta. Il problema vero è che non abbiamo in Italia una disciplina coerente e organica dello stato di eccezione, a differenza di altri importanti democrazie europee, come la Francia, la Germania o il Regno Unito.

In Italia i nostri costituenti decisero di non inserirla nella Costituzione. Le ragioni sono analoghe a quelle che spinsero l’Assemblea a inserire l’obbligatorietà dell’azione penale e a evitare un governo “forte”. Il governo dispone di alcuni utili strumenti, quali il decreto legge, la legge sulla protezione civile o la possibilità di sostituirsi alle Regioni e agli enti locali. Ma la sua azione è ingessata, per un verso, dalle resistenze dei presidenti di Regione, e, per l’altro, dalle sempre possibili conseguenze giuridiche del loro operato, proprio in forza dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui sopra. Passata l’emergenza, il problema andrà affrontato.