Beppe Grillo è stato determinante nello spingere il M5S all’accordo di governo con il Pd. Adesso, dal palco di Napoli, è sembrato in sintonia con Nicola Zingaretti nel prospettare una vera alleanza strategica. Qualcuno si sorprende, ma francamente non si vede il perché. Il fondatore del MoVimento, innanzitutto, si è affacciato alla politica come un comunista berlingueriano e ai festival dell’Unità non si esibiva per caso. Ma c’è di più. L’avvicinamento tra Movimento e PD non nasce da un colpo di fulmine. Per una volta, anche parlando di Grillismo, è possibile un approfondimento storico e culturale. Partiamo dalla storia.

Enrico Berlinguer è l’unico leader comunista il cui mito è rimasto intatto. E’ stato conservato sugli altari da tutti i successivi segretari: Matteo Renzi compreso. Lo si è infatti identificato con il valore dell’onestà e con la “questione morale“. Semplificando al massimo, è stato il simbolo della lotta condotta dai comunisti ( ed ex comunisti) contro la corruzione. Ma la bandiera dell’onestà è la prima caratteristica identitaria di M5S ed è dunque questo un terreno naturale di intesa con gli eredi di Berlinguer.

C’è in tale intesa anche, in parte, un deja vu. I successori di Berlinguer, prima di Grillo, si sono infatti alleati con Di Pietro. Il cui partito ( certo in formato bonsai) assomigliava per alcuni aspetti a M5S. Almeno come simbolo delle manette contro il malaffare, ovvero di quel “giustizialismo” che tuttora rappresenta il cavallo di battaglia per la propaganda grillina. Per la verità, come sopra accennato, è una semplificazione identificare Berlinguer con la lotta alla corruzione in nome dell’onestà. Egli stesso lo riterrebbe banale e riduttivo. La “questione morale” era qualcosa di molto più profondo e sofisticato ( come d’altronde il leader comunista). La “questione morale” era il rifiuto dello stile di vita consumista e edonista tipico, secondo il Pci anni ’ 70, del capitalismo. E qui si trovano anche le radici di quell’intesa con una parte dei fedeli che è stata definita “cattocomunismo”. Ascoltiamo Berlinguer stesso nel suo famoso discorso del gennaio 1977 al mondo della cultura riunito al teatro Eliseo di Roma. «Avanzano processi di degradazione e di decadenza che minacciano la base non solo dell’economia, ma della nostra stessa civiltà e del suo sviluppo. L’austerità è il mezzo per contrastarli e per porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale. Nelle condizioni odierne, è impensabile impostare una lotta reale ed efficace per una società superiore senza muovere dalla prima, imprescindibile esigenza dell’austerità. Lo scopo dell’austerità è quello in primo luogo di instaurare una moralità nuova».

Questa austerità dunque costituisce il vero pilastro della “questione morale“ berlingueriana. E l’austerità era espressione di una cultura vincente nell’Italia degli anni ’ 70, alimentata dai grandi intellettuali comunisti del tempo. Pasolini innanzitutto, che scriveva i fondi sul Corriere della Sera ma aveva “orrore della televisione“; fuggiva dall’Italia a Natale per non assistere alla «orgia di consumismo» ; si commuoveva nel vedere la «uniforme, dignitosa povertà» dei passanti nei Paesi dell’Est. Coltivava la stessa sensibilità Natalia Ginzburg che, nell’ottobre 1985, scriveva sull’Unità: «Mi ricordo di un viaggio in Unione Sovietica. Avvertivo indistintamente un’atmosfera straordinaria e non riuscivo a capire da cosa fosse prodotta. Alla fine, me ne sono accorta: lì non c’era la pubblicità».

Questa, peraltro, è la radice della lotta condotta dal Pci anni ’ 80 contro la televisione commerciale e i suoi spot pubblicitari. Che tante polemiche ha provocato tra i due responsabili del settore informazione nel Pci e nel Psi: Walter Veltroni ed io. Lui contro le pause nei film che «interrompono un’emozione» ; io per le reti berlusconiane.

Ma la psicologia che sta alle spalle di un certo anticonsumismo comunista va molto indietro nel tempo. E’ in parte all’origine dell’ostilità contro le autostrade che oggi può apparire inverosimile, ma che allora sicuramente c’è stata. Mentre infatti, nell’ottobre 1964, il governo di centro- sinistra inaugurava l’Autostrada del Sole, l’Unità scriveva: «Abbiamo l’autostrada. Ma non sappiamo bene a che serve. Non esiste ancora nessuno studio sulle conseguenze che il colossale nastro stradale avrà sull’economia del Paese. L’autostrada per correre rientra esattamente nel quadro di una politica economica che si costruisce all’ombra di alcuni interessi settoriali e ad essi condiziona lo sviluppo civile. Si procede tra stridenti assurdi, riempiendo gli occhi di autostrade e dimenticando che mancano le strade normali. Velocità alte e comode insomma soltanto per i redditi più elevati».

Come si vede, è impossibile non cogliere l’assonanza di queste parole con la polemica di M5S contro la Tav. Anzi. Togliete “autostrade”, mettete “alta velocità” e sembra di leggere le argomentazioni di Toninelli. Una componente “antimoderna” ha sempre caratterizzato una componente del Partito comunista ( non tutto e non sempre). E’ stata la base dell’attrazione reciproca con una parte del mondo cattolico. Ha trovato l’espressione più compiuta nella “austerità” berlingueriana. Dove si colgono le radici di un certo ecologismo rinunciatario, di un anticapitalismo pauperista, di uno spirito anti- consumista e antioccidentale che è stato all’origine del Movimento. E che appare difficile da cancellare in nome del pragmatismo governativo.

A questo terreno di incontro, sul piano storico, si aggiunge naturalmente quello che è l’elemento fondante dell’ideologia comunista. M5S magari lo declina diversamente e in modo post ideologico. Ma assistenzialismo, demagogia e populismo possono essere visti come il prodotto - magari il cascame - di antenati dal nome più rispettato: libertà dallo sfruttamento e uguaglianza. La lotta alla “Casta” dei politici può essere vista come una riedizione della “lotta di classe” semplificata ( perciò di più facile appeal verso un elettorato diseducato da vent’anni di anti politica).

Grillo dunque è a modo suo razionale e coerente. Torna al vecchio Pci di Berlinguer e magari lo vede come un porto provvidenziale. Perché forse è allarmato dalla sproporzione clamorosa che si è prodotta nel MoVimento tra l’enormità del potere e la limitatezza della cultura politica. Tale da causare confusione e sbandamenti sempre più vistosi, per i quali un solido ancoraggio appare l’antidoto migliore.

Le interpretazioni prevalenti sull’attrazione tra grillismo ed ex comunisti sono molto più semplici e crude. Si concentrano sul tema immediato del potere. Naturalmente colgono nel segno, ma forse non è giusto limitare l’analisi all’aspetto più evidente e prosaico della realtà. Come sempre, alla base delle scelte politiche, ci sono ragioni profonde. Per quel poco che è rimasto di politico in quanto accade in Italia, anche questo aspetto va esaminato.

Certo, nelle prove di alleanza strategica tra i partner di governo, si affaccia una contraddizione pesante, avvertita in questo momento soprattutto nei territori. Di Pietro ha salvato dalle inchieste giudiziarie Botteghe Oscure ed era un alleato facile, perché predicava l’onestà contro i nemici dei comunisti e degli ex comunisti. Il M5S è un alleato molto più difficile, perché sino a ieri ha predicato sì l’onestà, ma contro il Pd. I capi locali grillini descritti come cialtroni e quelli del Pd descritti come ladri dovranno andare a braccetto e non sarà una passeggiata. Se passeggiata ci sarà, si tratterà di un ritorno all’indietro e di uno strano paradosso. In fondo, Grillo è per alcuni aspetti un comunista anni ‘ 70. Dopo tanti sforzi per rinnovarsi, per diventare un moderno partito di governo e del socialismo europeo, il Pd dovrà allearsi con il fantasma del suo passato.