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O di qua o di là. O con me o contro di me. Ci risiamo: come nel 1914 (è passato più di un secolo e non abbiamo imparato nulla), la guerra ha lacerato e spezzato in due la società civile, l’intellettualità e il giornalismo italiano. Il meccanismo brutale e violento nel suo manicheismo è sempre lo stesso: se provi a uscire dalla rassicurante ma ottusa logica binaria, vieni tacciato di intelligenza col nemico. È un riflesso condizionato che non risparmia quasi nessuno e che schiaccia chiunque voglia provare a ragionare a mente fredda, che poi è quello che dobbiamo a chi in queste ore prova a fuggire dalle bombe russe. Insomma, sono tempi difficili per la stampa libera, per gli “irregolari”, per chi come noi si nutre di dubbi. Ma non per questo abbiamo intenzione di rinunciare a quello che riteniamo sia un nostro preciso compito: insinuare dubbi e provare a smontare le certezze di ognuno di noi, perché siamo convinti che siano proprio le certezze alla base della “violenza” di quello che Nadia Urbinati ha giustamente definito "paradigma binario", ovvero quel meccanismo che "crea un ambiente retorico che non lascia (non deve lasciare) spazio al dubbio; che non favorisce un’analisi degli eventi, ma solo reazioni emotive a quegli eventi che trangugiamo come fossero vino buono; che scoraggia la formazione di opinioni interlocutorie e capaci di presentarsi per quel che sono, ovvero punti di vista aperti alla contestazione e alla revisione". Ma a ben vedere già queste poche righe potrebbero essere sufficienti ai profeti del dogma per istruire un processo per “diserzione”. E allora è bene ricordare a chi è tentato di affibbiarci la patente di zaristi (sic!), che anche per noi la situazione è chiarissima: c’è un aggressore, Putin, e c’è un aggredito, il popolo ucraino. Di più, per quel che ci riguarda, Putin non sta solo attaccando il popolo ucraino: sono anni infatti che il presidente russo umilia e ingiuria il suo stesso popolo attraverso il massacro sistematico dei diritti civili, delle garanzie e delle libertà. Per questo abbiamo pubblicato numerosi articoli di una certa Anna Politkovskaya. Avete presente? La giornalista di Novaya Gazeta – l’eroico quotidiano russo che da anni combatte il putinismo – uccisa per le sue inchieste che denunciavano le brutalità dell’esercito russo e l’osceno patto di potere tra generali e governo. E poi abbiamo sentito gli eroici avvocati ucraini costretti ad abbandonare la toga per imbracciare il fucile e andare al fronte, e infine le voci disperate delle donne in guerra: la loro angoscia, il pianto dei loro bambini e finanche lo smarrimento dei loro cani. Ma questo, ci siamo detti, non basta, non può bastare. Se l’obiettivo è quello di salvare il popolo ucraino dalla violenza dell’esercito russo, dobbiamo uscire da quella logica binaria e rovesciare il rassicurante e tragico giochino del “con me o contro di me” che provano a propinarci i resistenti in pantofole. Ed è quello che proviamo a fare ogni giorno.