Mariastella Gelmini, portavoce e senatrice di Azione, sulle riforme costituzionali spiega che «sull’elezione diretta del capo dello Stato, la maggioranza è isolata», e che «si può anche valutare di tenere il tavolo della giustizia separato, purché poi la separazione delle carriere si faccia».

Senatrice Gelmini, Azione è la sola forza politica che abbia posto a Meloni il problema di dover considerare nel pacchetto delle riforme costituzionali anche la separazione delle carriere. Meloni ha risposto picche, spiegando che le due questioni devono rimanere su piani diversi. Ritiene che questo atteggiamento possa diventare una strategia dilatoria sulla separazione delle carriere e le altre riforme della giustizia?

Faccio una premessa. Sono convinta che la riforma della giustizia sia un dossier strategico, per i cittadini, le imprese e i professionisti: i rapporti Ocse, le raccomandazioni dell’Ue trasfuse nel Pnrr e le stesse statistiche ci indicano con urgenza questa direzione sia per ragioni di competitività del Paese, che, lo dico credendo fermamente nei principi dello Stato di diritto, per motivi di civiltà giuridica. Noi sosteniamo che, se c’è la volontà di modificare la Costituzione, sarebbe bene non farlo a pezzi, ma all’interno di un quadro unitario. Anche perché, come è noto, la separazione dei poteri nella nostra Costituzione non è poi così rigida. Il presidente della Repubblica, ad esempio, è il capo del Csm. Detto ciò, si può anche valutare di tenere il tavolo della giustizia separato, purché poi la separazione delle carriere si faccia. Mentre è evidente che su poteri del premier, ruolo del Parlamento, rapporto fra governo nazionale ed enti territoriali e quindi autonomia, sarebbe assurdo separare i ragionamenti.

A proposito di riforme costituzionali, voi avete fatto delle aperture rispetto a Pd e M5S, in particolare sul cosiddetto sindaco d’Italia. Ma in caso di elezione diretta del presidente del Consiglio poi non si rischia di esautorare il Parlamento dal proprio ruolo?

Noi siamo favorevoli al rafforzamento della stabilità dei governi e all’indicazione da parte degli elettori del premier. Due obiettivi che si possono raggiungere in vari modi, fra i quali c’è anche l’elezione del cosiddetto “sindaco d’Italia”. Però tutto questo non corrisponde necessariamente allo svilimento del Parlamento, il cui ruolo anzi va rafforzato: siamo oramai al paradosso che le leggi le fa solamente il governo e che i decreti vengono esaminati da una sola camera mentre l’altra fa da passacarte. Ma è per questa ragione che non si può discutere di presidenzialismo in astratto, come è stato fatto fino ad ora, anche per la confusione nella maggioranza: occorre cercare un equilibrio e trovare i giusti contrappesi. Tolta di mezzo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, si può discutere senza pregiudizio di tutto, compreso della separazione dei ruoli fra le due Camere o del monocameralismo, che è la proposta di Azione.

Si parla molto di premierato, cancellierato, sistema spagnolo: pensa che da questo dialogo tra maggioranza e opposizione possa nascere qualcosa di concreto o il governo andrà dritto per la sua strada con chi ci sta?

Non credo sia interesse di Giorgia Meloni procedere, su un punto così delicato, a colpi di maggioranza ed è apprezzabile che non sia arrivata agli incontri con una soluzione preconfezionata. Adesso però il presidente del Consiglio deve prendere atto del fatto che, sull’elezione diretta del capo dello Stato, la maggioranza è isolata. Noi siamo disponibili al dialogo: le riforme istituzionali vanno realizzate con il più ampio consenso possibile e spero che ci sia disponibilità ad un confronto vero, da parte di tutti. Noi, per parte nostra, non sceglieremo mai l’Aventino.

Lei ha presentato a inizio legislatura una proposta di legge per limitare l’abuso d’ufficio, altri nel suo stesso partito parlano di abrogazione. In attesa di capire cosa vuol fare concretamente il governo, ci può spiegare meglio la sua posizione?

Oltre il novanta per cento dei casi di procedimenti penali per abuso d’ufficio contro i pubblici amministratori si concludono con assoluzioni. È un problema di cui ci siamo fatti carico anche durante il governo Draghi: era una richiesta che arrivava dai sindaci e dagli amministratori locali perché la paura della firma rischiava di compromettere perfino gli investimenti del Pnrr. Per questo, a inizio legislatura, ho presentato un disegno di legge nel solco dei ragionamenti che stavamo facendo in seno al precedente esecutivo per delimitare meglio il reato.

Crede ci possa essere su questo punto un dialogo con Forza Italia, che tra le forze di maggioranza è quella più vicina, sulla giustizia, alle vostre idee?

Sulle nostre posizioni siamo disponibili a discutere con tutti. Segnalo che Nordio è stato indicato come ministro della giustizia da Fratelli d’Italia, partito nelle cui fila è stato peraltro eletto. Voglio sperare che il garantismo animi tutta la maggioranza di governo e non solo una parte di essa. Anche perché Carlo Nordio è un galantuomo e credo che non rinuncerà ai suoi principi.

Tra le tante riforme della giustizia, quella che dovrebbe partire dal Senato è quella sulle intercettazioni: condivide l’impostazione del ministro Nordio di limitare ulteriormente la trascrivibilità delle conversazioni intercettate in modo da oscurare tutte quelle che riguardassero terzi estranei alle indagini o comunque fatti che hanno una rilevanza esclusivamente privata?

Certo che sono d’accordo con Nordio: il tema delle intercettazioni, o meglio l’espansione abusiva che queste hanno conosciuto negli ultimi anni, rappresenta esattamente uno di quei problemi di civiltà giuridica che invocavo all’inizio. L’impiego pervasivo del trojan ne è forse il simbolo più emblematico. Occorre limitare tutto ciò che non è necessario all’accertamento e al perseguimento dei fatti di reato. Dobbiamo tornare a una visione liberale del diritto penale che non può essere mai un mezzo di propaganda politica o visibilità mediatica. Rispetto a queste derive, c’è una forte responsabilità sia della classe politica che dei media: le responsabilità si accertano nel processo e non sulle prime pagine dei giornali.