«Questo odore di sangue non porta niente di buono». Il primo intervento della senatrice a vita Liliana Segre, una delle pochissime testimoni dell’inferno di Auschwitz ancora in vita in Italia, è l’unico a mettere tutti d’accordo nell’aula del Senato. Sono parole che mettono in guardia, parole contro l’odio e contro il rischio di una nuova legge pensata per separare gli altri da “noi”. Gli altri, sottolinea Segre, sono i Rom e i Sinti, che in quel campo di sterminio dal quale lei uscì viva ci finirono pure, ma rimanendo un capitolo della storia della Shoah ancora oggi trascurato. «Mi rifiuto di pensare che la nostra civiltà democratica sia sporcata da leggi speciali - ha detto nel suo breve ma intenso intervento -. Se accadrà mi opporrò con tutte le forze». E si opporrà alla tentazione dell’indifferenza e al linguaggio dell’odio, all’hate speech che imbarbarisce la società, contro il quale ha già studiato un disegno di legge per istituire una commissione parlamentare d’indirizzo e controllo sui fenomeni dell’intolleranza, razzismo e istigazione all’odio social. Liliana Segre è stata deportata da Milano al campo di concentramento nazista di Auschwitz Birkenau il 30 gennaio 1944 e sulla pelle porta ancora il numero matricola 75190. Il 19 gennaio è stata scelta dal presidente Sergio Mattarella come membro permanente del Senato, «per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale». Ad Auschwitz, a 13 anni, ha incontrato anche gli zingari, che a prima vista sembravano dei privilegiati: mentre lei e le altre ragazze stavano coi capelli rasati a zero, lontano dalle proprie famiglie e coi i vestiti a righe, loro vivevano tutti insieme, coi loro capelli ancora tutti in testa e senza il pigiama tipico dei prigionieri. «Ci dicevamo: che fortunati, questi, ma chi sono? Una mattina però non c’erano più: li avevano gasati tutti durante la notte. Non lo posso dimenticare». Senatrice, nel suo discorso ha parlato della possibilità di leggi speciali contro Rom e Sinti. Corriamo davvero questo rischio? Il mio discorso era una cosa brevissima. Ho voluto però dire che queste leggi speciali, queste parole d’odio, mi fanno paura, perché mi ricordano delle cose già viste, che sono andate a finire come sono andate a finire, nella mia vita e nella vita della mia famiglia, della quale io sono l’unica sopravvissuta. Perché ha voluto lanciare questo allarme? Ho risposto ad un appello di Alberto Melloni in merito al punto del contratto di governo che prevede, per i bimbi Rom e Sinti, l’obbligo di frequenza scolastica dei minori, pena l’allontanamento dalla famiglia o perdita della responsabilità potestà genitoriale. Il nostro codice penale - e questo me l’ha detto lui, perché non lo sapevo - in caso di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori, prevede un’ammenda di soli 30 euro. Salvini ha detto che però non sono previste leggi speciali. L’ha tranquillizzata? Non ce ne sono? Bene, meglio così. Io mi sono sentita in dovere, avendo assistito a quello che ho raccontato, di dire che mi opporrò a questa eventualità. Sono cose che io ho visto con i miei occhi, che ho subito e che hanno subito gli stessi Rom e Sinti. Ma neanche loro stessi sanno quello che è successo alla loro popolazione. Alcuni forse sì, quelli più vecchi. Io c’ero e ho il dovere di testimoniarlo. Salvarli dall’indifferenza è un debito storico nei loro confronti e a serve ad aiutare gli italiani a non anestetizzare le coscienze. Oggi parte della politica se la prende con gli immigrati, promettendo di rispedirli a casa quasi fossero matrice di tutti i mali. Crede che si possa fare un parallelismo tra quanto accaduto all’epoca con gli ebrei? Non si possono fare paragoni tra quello che è accaduto e quanto accade ai migranti. Non sono di questa idea. La Shoah è stata decisa a tavolino politicamente, con l’esaltazione della razza superiore e ci sono voluti anni per metterla in pratica. Quello che accade oggi, invece, è una migrazione di massa dettata da elementi molto diversi: guerra, povertà, fame. Non si può generalizzare, sono assolutamente contraria a questo. Io ero una richiedente asilo clandestina, cercavamo di andare in Svizzera ma fummo respinti. Ma c’erano motivazioni che erano di una gravità inaudita. Noi sapevamo che saremmo stati deportati e uccisi. Non tutti gli immigrati che tornano indietro, invece, vengono sterminati. Sicuramente ci sono degli aspetti simili, ma non corriamo lo stesso pericolo. E cosa bisognerebbe fare? Io non sono una politica e nemmeno un’opinionista. Sono una vecchia signora che da qualche mese si trova per caso ad essere senatrice a vita ed è la mia storia personale ad avermi portata a questa nomina. Credo che tocchi ai politici, ai ministri degli Esteri, mettersi d’accordo con gli altri Stati, non è il cittadino che può decidere cosa fare. I migranti sono però uno dei bersagli principali dell’odio social, spesso cavalcato dalla propaganda politica. I linguaggi sono cambiati perché sono cambiati gli stili di vita, le persone. Sono passate quattro generazioni. Quello che è rimasto uguale è la paura del diverso, che è sempre esistita. Non è un’invenzione della Shoah, viene da molto prima e non è mai passata. Lei ha deciso di battersi contro il linguaggio dell’odio. Da cosa nasce questa idea? È un progetto che avevo anche prima di diventare senatrice. Non c’è bisogno di andare ad alti livelli, basta una riunione condominiale, un sorpasso, per trovare l’odio... La violenza è talmente insita nelle persone che anche chi non ha a che fare con l’argomento in sé si sente in diritto di reagire. Noto questa sete di urlare, di tenere comportamenti violenti. È una cosa che si sente, questo odore di sangue che non porta niente di buono. Presenterò un disegno di legge sull’hate speech, contro l’odio, contro il razzismo, contro l’antisemitismo. Contro ogni forma di umiliazione, partendo dal bullo per finire a ciò che si sta vedendo. Ho letto anche io dei commenti d’odio su Youtube, ad esempio sul discorso del primo ministro o su quello di Renzi. C’è desiderio di colpire, quello che già vediamo negli stadi, ad altissimo livello. E lo stadio è un fenomeno popolare, è il termometro del paese. Ricordo che una volta si temevano gli hooligans, che bevevano ed erano violenti. Adesso abbiamo visto il il distintivo di Anna Frank utilizzato come insulto e altre cose gravissime. Da cosa dipendono questi comportamenti? Manca l’educazione, manca lo studio della storia, c’è la grande ignoranza l’uno dell’altro. Quello che ha portato il consumismo, questa ricerca di idoli che sono calciatori, attori o personaggi dello spettacolo. Io sono vecchia, ma a volte vedo idolatrare dei personaggi che con l’arte non c’entrano nulla e adesso basta poco per vedere 80mila persone impazzite dietro qualcuno le cui doti artistiche sono discutibili. È un mondo che nei miei 88 anni è cambiato completamente. Cosa resta? Restano le persone che hanno una storia alle spalle e che certe cose le han già viste. E dicono: attenzione, così si ricomincia.