Il covid è arrivato e noi siamo entrati in quarantena. Magari non con la stessa gravità in tutte le regioni, ma in qualche modo ci siamo sentiti uguali. Uguali dinnanzi alle limitazioni delle libertà. Il tema della contrazione delle libertà ci ha fatto sentire eguali. La risposta alla emergenza pandemica ha portato con sé l’esperienza dell’essenziale e a ben guardare ci offre l’opportunità di valutare di cosa non possiamo fare a meno per parlare di stato di diritto, di rispetto del principio del giusto processo. Libertà e uguaglianza nella costruzione di una nuova era per il diritto

Era soltanto il 2007: e sembra un millennio. Forse lo è. Ad un tavolo internazionale un rappresentante di un governo vicino ha detto: la emergenza pandemica ha segnato il ( vero) inizio del XXI secolo per la giurisdizione e per la giustizia. Credo sia cosi. Era il 2007 e ci siamo divisi sul tema dell’uguaglianza, ovvero delle diseguaglianze sociali ed economiche. All’uscita dalla recessione della zona euro con il presentarsi di nuovi vincitori ( pochi) e nuovi vinti ( molti) ci siamo scoperti più diseguali: diseguali soprattutto nelle capacità di sopportare il costo di vita che viene generato dal costo di opportunità di tutto quello che non possiamo fare mentre stiamo attendendo che un processo si compia, che una sentenza venga eseguita, che un procedimento concorsuale si definisca. Ci siamo scoperti anche più diseguali nelle capacità di crescita professionale, nel senso che investire sulle infrastrutture che durano nel tempo costa, e costa quel quid che non si misura subito, perché ha a che vedere con l’incertezza di vedersi come color che son sospesi fra un oggi da migliorare e un domani migliorato ma in modo non quantificabile oggi. Nel mentre, di libertà processuali non si è tanto parlato. Per anni non se ne è parlato affatto. Le si è date per assodate. Cosi è arrivato il covid. Eravamo concentrati sulle eguaglianze, molto meno sulle libertà. Figuriamoci su quelle libertà un po’ complicate da spiegare, che magari si discutono quando ci sono scandali giudiziari ma non si considerano come una questione di cui occuparsi nella vita di ogni giorno. Il covid è arrivato e noi siamo entrati in quarantena. Magari non con la stessa gravità in tutte le regioni, ma in qualche modo ci siamo sentiti uguali. Uguali dinnanzi alle limitazioni delle libertà. Una esperienza inedita, assolutamente dirompente, che ha avuto un impatto cognitivo diversificato e un riflesso sulla governance del rischio contrassegnato dalle divaricazioni regionali e intra- regionali. Ma il tema della contrazione delle libertà ci ha fatto sentire eguali. Eppure, nella discussione delle libertà non ci siamo occupati di tutte le libertà in egual modo: soltanto in relazione ad alcuni aspetti del mondo della giustizia abbiamo discusso delle libertà civili che si trovano riflesse nelle garanzie processuali che noi chiamiamo giusto processo ma, anche, giusta esecuzione delle sentenze. La sospensione dei termini nel mondo della giustizia, la trasformazione in un formato “a distanza” delle udienze hanno però ad un certo punto riportato in cima alle priorità la questione della qualità della giurisdizione e, anche se forse non detto esattamente in questi termini, di ciò di cui non possiamo fare a meno per parlare di qualità della giustizia. La risposta alla emergenza pandemica ha portato con sé l’esperienza dell’essenziale e a ben guardare ci offre l’opportunità di valutare di cosa non possiamo fare a meno per parlare di stato di diritto, di rispetto del principio del giusto processo. Che aspetto concreto, organizzativo, comunicativo, interazionale, cognitivo, comportamentale ha il giusto processo? Quale è il suo nucleo, le dimensioni necessarie senza le quali non si può parlare né di giusto né forse nemmeno di processo. Magari di calcolo, magari di soluzione di un problema, ma non di processo.

Ed è qui che torna la questione se in quelle dimensioni vi sia preminente la libertà processuale o l’uguaglianza di accesso. La prima essendo forse rilevante una volta che il processo si apre mentre la seconda rileva nella fase preliminare, quella che si apre quando il cittadino l’impresa hanno un problema e devono capire se stante le loro risorse di vita – individuale economica organizzativa reputazionale – possono affrontare il percorso di una soluzione giudiziale del problema. È qui ancora che le dimensioni delle norme scritte, quelle formalizzate, che sanciscono le libertà processuali diventano metà di una luna che necessita di una altra metà quella dell’uguaglianza delle condizioni di accesso, ossia di quelle capacità di sostenere costi, avere informazioni attendibili, ma anche affrontare il passaggio ad un nuovo paradigma, dove il digitale diventa un catalizzatore di nuove forme di organizzazione e di interfaccia fra domanda ed offerta di giustizia.

Temi astratti? Affatto. Cosi concreti che diventano temi nell’agenda istituzionale di istanze rappresentative delle voci dell’avvocatura. Come ad esempio nella riunione che l’Unione dei Fori Siciliani terrà a settembre e che si cimenterà fra le altre cose su come riflettere a comuni standard di tutela e di qualità della risposta alla domanda di giustizia. Il fatto che sia una discussione che coinvolge una realtà strategica del nostro Mezzogiorno è un aspetto cruciale. Ed ancor più in Sicilia, dove il peso della conoscenza che il cittadino ha dei suoi diritti e delle sue libertà processuali deve coniugarsi con l’uguaglianza di accesso e dove la diffusione di una cultura degli standard minimi della risposta offerta alla domanda di giustizia può costituire un caso esemplare di un territorio che rilanciando la giustizia e l’economia come reazione al covid di fatto costruisce un nuovo orizzonte di cultura civica e fiducia nelle istituzioni.