Non so cosa ha portato
Zelensky a dire “Siamo vicini alla vittoria e alla pace”. Se è stato il successo di quelle piccole controffensive attorno a
Kiev. O l’aver centrato quella nave russa nel porto di
Berdiansk, o il fatto che
Mariupol ancora non è caduta. Magari. Non so come sarebbe la pace, e se mi immagino le strade di
Kiev in festa, non riesco a credere a
Donetsk, a
Lugansk, alla Crimea attraversate dai russi in ritirata. In più, mi chiedo cosa sarebbe della
Russia, e cosa la sconfitta causerebbe al
Cremlino, e persino negli assetti mondiali, non sono solo fatti loro.
Vedo invece che si affilano i coltelli, anche quando si parla di cose buone:
Draghi ha detto che bisogna pensare all’integrazione dei profughi, Biden annuncia che ne ospiteranno centomila: come se la pace fosse davvero lontana, nessuno torna a casa. Del resto non si è parlato di pace, al vertice europeo con
Biden. Appena poco tempo fa nei vertici si parlava di riscaldamento globale, e Greta era la sentinella morale delle discussioni. Adesso lo è
Zelensky, ascoltato, come
Greta, a metà. Niente 200 carri armati, però droni, armi anticarro, armi antimissili.
Niente no fly zone, la linea rossa diventa l’impiego di armi chimiche (era stato così anche per
Obama in
Siria, sappiamo com’è finita). Tranne qualche dettaglio umano del vertice, come
Boris Johnson sperduto nella preparazione della foto di gruppo, hanno ragione i leader di compiacersi: la
Nato, e a ruota
l’Unione europea e il G7, non sono mai stati così uniti: è il miracolo alla rovescia provocato dall’invasione di
Putin. Ma anche mai così incapaci di diplomazia, come se le armi costassero il silenzio, mortificassero idee, trattenessero ogni altra iniziativa, avessero espugnato cuore e cervello della vecchia
Europa. Lamentavamo, davanti a certe regole, che la comunità fosse fatta da ragionieri, avesse perso lo slancio identitario degli inizi. Adesso, che ha ritrovato lo slancio dei momenti bui, sembra fatta da sergenti e caporali, un vertice come un’adunata, con un comandante della riserva un po’ diverso da
Patton, un certo
Joe Biden. Ah, le risoluzioni
ONU: alla fine ne hanno votata una, politicamente corretta, che indica nell’invasione russa la colpa e intima alla sola
Russia di sospendere il fuoco. La
Russia ha votato no, la
Cina si è astenuta.
Rimarrà lettera morta, ma il Consiglio di Sicurezza è soddisfatto perché gliele ha mandate a dire, alla
Russia. La cosa che mi ha colpito di più, ieri, è stata una frase di
Draghi: “bisogna cercare disperatamente la pace”. Quell’avverbio non sembrava casuale, alla
Cetto La Qualunque. Detto da
Draghi, uomo concreto, era rivelatore di un vuoto di strategia, di una speranza che manca, di parole che non si osa pronunciare. Del resto in guerra si perde tutti, alla fine.