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E se ci fosse qualcosa di sbagliato? Se l'espulsione dal territorio nazionale di dozzine di fanatici islamici non fosse la soluzione, ma il germe o la causa di guai molto più grossi? Il ministro Alfano ha ricordato, con una certa soddisfazione, che sono 107, dal 2015, gli stranieri espulsi dall'Italia per sospetti di collegamenti con cellule terroristiche.Una logica di prevenzione in apparenza lineare. Vogliamo evitare attentati in Italia e ci sbarazziamo dei più pericolosi. Tuttavia.Tuttavia due considerazioni dovrebbero indurre a prudenza. Partiamo dall'ultimo comunicato del Viminale: "in seguito ad una attenta e approfondita attività investigativa, sono stati allontanati dal territorio nazionale con un volo partito da Catania e diretto a Tunisi, per motivi di sicurezza dello Stato, due cittadini di nazionalità tunisina. A loro carico, sono stati accertati legami con movimenti terroristici oltre a vari elementi che li hanno tratteggiati come soggetti socialmente pericolosi". Il 18 marzo 2015 a Tunisi, nel museo del Bardo, sono state uccise 24 persone e 45 sono rimaste ferite. Molte vittime erano italiane. La minaccia del terrore è globale non c'è dubbio, ma allora che senso ha sbarazzarsi in Italia di manipoli di fanatici che, poi, vengono restituiti ai paesi di origine e probabilmente alle organizzazioni estremistiche di appartenenza. Certo possiamo immaginare che le autorità tunisine, con metodi tunisini, affronteranno la questione e si prenderanno cura dei due fanatici. Ad occhio e croce nulla di diverso dal clamoroso caso di Abu Omar prelevato - con altri mezzi - in Italia e consegnato (via Cia) al nativo Egitto. Allora una legge sulla rendition non esisteva, dal 2015 l'Italia ne ha una molto efficiente e la sta applicando con evidenti risultati. Si badi bene non è (solo) un problema di garanzie, di assetto dello Stato di diritto, ma con una certa dose di pragmatismo si deve discutere delle pura "utilità" nel progettare operazioni di questo genere. In Tunisia, per restare al caso più recente, l'Italia ha interessi importanti, investimenti cospicui, cittadini al lavoro. Spedire lì un paio di assatanati del terrore non sembra proprio un colpo di genio. Quei 107 espulsi sono, potrebbero essere, altrettante fonti di odio e risentimento contro l'Italia, potrebbero aizzare azioni violente, fare proselitismo contro il nostro paese da una posizione privilegiata. E nessuno può pensare o auspicare che, in loco, le autorità nordafricane risolvano la cosa in modi più spicci.La seconda riflessione. Non serve leggere Bauman (L'etica in un mondo di consumatori, Laterza, 2008) per comprendere che la società liquida delle migrazioni e della globalizzazione predilige le tecniche di esclusione in luogo di quelle di confinamento e sorveglianza. Ma per il terrorismo internazionale non sembra una buona soluzione. La solidarietà tra Stati imporrebbe di sorvegliare e controllare i sospetti entro i propri confini con tutti i rischi che questo comporta (v. la Francia o il Belgio), spedire fuori dall'Italia i fanatici può forse mitigare il rischio imminente, ma non garantisce da attacchi futuri. Anzi.La soluzione italica mostra, come spesso accade, le stimmate di quella furbizia che tante volte ci è stata rimproverata dagli alleati: spinge la polvere sotto lo zerbino e la mette davanti all'uscio del vicino. Ma non può essere la strada maestra della prevenzione antiterrorismo che esige, piuttosto, che gli estremisti siano permanentemente monitorati e sorvegliati li dove operano anche se si tratta di cada nostra. Si coglie, ma può essere una svista, come l'impressione che gli espulsi siano dei "mancati arrestati" per i quali cioé non siano state raccolte prove sufficienti per ammanettarli. Se così fosse non si tratterebbe della tanto decantata prevenzione, ma di una cripto-repressione, altro vizio italico.