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Il Covid è un liquame che si allarga inarrestabile. Inesorabilmente, si tira appresso lo stato d’emergenza che tutto avvolge e tutti stringe. E’ giusto, è fondamentale. Il governo lo proroga fino a tutto gennaio 2021 e pensa di obbligare all’uso delle mascherine all’esterno h24 su tutto il territorio nazionale, mentre Campania e Lazio già lo fanno. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, avverte che «bisogna resistere altri sette-otto mesi col coltello tra i denti». Bene, siamo pronti, non c’è altro da fare. Del resto non è positivo persino Trump e famiglia? E il confronto con il resto d’Europa non deve allarmarci oltre che compiacerci per aver fatto tanto meglio di altri?Certo, per forza. Ma allora com’è che in testa continua a ronzare un tarlo che dice: e dopo? Dopo gennaio, dopo i sette-otto mesi, dopo i tamponi e i guariti: che succede?Siamo in attesa del vaccino come della stella cometa. Lasciamo pure stare i distinguo degli scienziati: siamo sicuri che poi tutto tornerà come prima? Anche se molti faticano ad ammetterlo, alcune modifiche nei comportamenti e nelle mentalità ci sono già stati, tipo lo smart-working, e tornare indietro sarà praticamente impossibile.Già così il discorso è difficile: se poi ci aggiungiamo il macigno delle responsabilità diventa complicatissimo e politicamente molto, molto scorretto. Infatti il nodo è: l’emergenza non si discute, ma possiamo vivere eternamente in una condizione artificiosa e innaturale, in un regime di “sospensione” etereo e irreale? Sappiamo che il nostro è il Paese delle emergenze: c’è quella del dissesto del territorio e del global warming, la sicurezza, la disoccupazione dei giovani, l’immigrazione, l’emergenza umanitaria. Ora anche quella sanitaria. Abbiamo, dolorosamente, scoperto che più tali emergenze sono gridate e più crescono gli alibi e meno si lavora a risolverle. Eppure, almeno per il Covid-19, in tanti si sono avvicendati a spiegarci che dobbiamo imparare a convivere con il virus. Giusto. Ma la convivenza, appunto, non è il contrario dell’emergenza? Si può convivere se i decibel dell’allarme si affievoliscono : altrimenti occupano orecchie, cervello e cuore e non c’è posto per nient’altro. Insomma nel mentre dispieghiamo le energie per fronteggiare la pandemia, sarebbe opportuno impegnarsi per costruire le basi di una sopravvivenza che non sia continua sincope. Un esempio per tutti: la crescita del debito pubblico che ha toccato quota 160 per cento. Giorni fa, nell’indifferenza dei più, la Commissione Bilancio della Camera ha messo nero su bianco che «le favorevoli condizioni legate alla sospensione del Patto di stabilità e al massiccio acquisto di titoli pubblici da parte della Bce non potranno essere protratte indefinitamente». E’ il caso di muoversi, prima che l’impatto con la “convivenza” si riveli un colpo di maglio.