In principio fu la tata di Piero Fassino. Il tentativo di defilippizzare la sinistra, con tanto di commozione, inizia negli studi di “C’è posta per te”. Poi è toccato a Matteo Renzi e al suo chiodo nero irrompere nell’atmosfera da “Saranno famosi” di “Amici”. Stasera è la volta delle sardine Sartori, Cristallo, Donnoli. Paragoni possibili con il passato? Se il populismo gentile delle Sardine si accomoda sul divano della De Filippi

In principio fu la tata di Piero Fassino. Il tentativo di defilippizzare la sinistra, con tanto di commozione, inizia negli studi di “C’è posta per te”. Poi è toccato a Matteo Renzi e al suo chiodo nero irrompere nell’atmosfera da “Saranno famosi” di “Amici”. Stasera è la volta delle sardine Sartori, Cristallo, Donnoli. Paragoni possibili con il passato? Semplicemente nessuno. Non paragonabile il momento storico, non paragonabile la statura politica dei protagonisti. A Fassino, allora segretario Ds, quella partecipazione tv serviva per scrollarsi di dosso l’alone di austerità e freddo distacco che, nonostante tutto, il mondo ex comunista continuava a portarsi dietro e che il berlusconismo trionfante dell’epoca aveva progressivamente reso ostico per molti italiani.

Per Matteo Renzi andare dalla De Filippi fu un momento naturale e comprensibile del percorso politico- narrativo che stava costruendo: era la giovane promessa della politica italiana, incarnava la voglia di sfondare e di affermarsi di una nuova generazione, era l’immagine del desiderio di successo personale e generazionale. A ben guardare “Amici” e il suo pubblico erano un palcoscenico logico, normale, quasi obbligato. Ma le Sardine? Che c’azzeccano le Sardine con l’universo De Filippi. Consegneranno al pubblico, si dice, un messaggio contro l’odio. Ma perché da quello studio? Perché in questo momento?

«Non c’è piazza che non valga la pena di riempire. La dimensione politica delle Sardine non può e non deve essere snob», è la spiegazione che arriva da Sartori. Ma suona come una non risposta che, peraltro, arriva in un momento non proprio brillante del movimento. Dopo l’exploit bolognese, il clamoroso successo dell’appuntamento in piazza San Giovanni a Roma e l’importante contributo dato alla vittoria di Bonaccini in Emilia- Romagna le Sardine sembrano in piena parabola discendente.

Nelle ultime settimane è stato un susseguirsi di errori e scivoloni. La foto con Benetton e Toscani è sicuramente l’inciampo più rumoroso, proposte un po’ naif come l’Erasmus tra Nord e Sud Italia ne sono un’ulteriore conferma così come la visita «per portare visibilità e non risposte» alla Whirpool. In mezzo, l’allontanamento di alcuni esponenti e una manifestazione – quella romana in Santi Apostoli – non proprio riuscita. Tanto basta per dire che le Sardine vivono un momento di stallo e difficoltà, accompagnato da un dibattito interno sempre più acceso.

La loro stessa carica innovativa, tanto politica quanto comunicativa, sembra essere sbiadita. E il ripercorrere un cammino già intrapreso da altri contribuisce ad accentuare questa sensazione. Che logica – e che coerenza - c’è nel proporsi come alternativi ai personalismi e al linguaggio urlato dei talk televisivi e diventarne poi assidui frequentatori? All’ultima manifestazione di Roma uno dei leader delle Sardine, Lorenzo Donnoli, ha definito “indecente” il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per i selfie fatti il giorno precedente, accusandolo così di sottrarre tempo prezioso al lavoro per la liberazione di Patrick George Zaky. Impossibile notare la differenza dallo stantio botta e risposta tra politici che lo stesso movimento ha più volte stigmatizzato. E, ancora, la continua polarizzazione denunciata dalle Sardine agli esordi come una delle storture della politica di oggi viene costantemente riproposta dal movimento per dare senso alle mobilitazioni, sostanza agli appuntamenti ed efficacia alla comunicazione.

La sensazione è di aver assistito a una sorta di populismo educato, anti- antipolitica e anti- anticasta. In fondo, nulla di veramente nuovo. Nulla di veramente diverso. Ma erano la presunta diversità e la sbandierata novità la forza delle Sardine. Se vengono meno questi elementi cosa resta? Cosa resta di quel movimento che aveva saputo risvegliare il popolo del centrosinistra, che lo aveva spinto a uscire di casa per riprendersi con orgoglio e passione le piazze?

Resta la consapevolezza che in politica non esistono strade facili, che il ripensamento di un campo politico e culturale complesso come quello della sinistra ha bisogno di tempo e passa necessariamente attraverso il lavoro quotidiano - silenzioso, spesso oscuro - e lo studio della società, delle sue contraddizioni e delle sue potenzialità. Le scorciatoie, per quanto entusiasmanti e spettacolari, sono solo soluzioni illusorie, buone per creare personalità da dare in pasto al tritacarne della politica social e per ribaltare per qualche settimana gli equilibri dei sondaggi d’opinione. Non per la politica.