Le paure incrociate Da una parte l'equilibrio del terrore, dall'altra l'impeto di spinte centrifughe tanto possenti da poter infrangere anche quella barriera cementata dalla paura: l'unica che difenda ancora il governo gialloverde.

Gli insulti, le accuse, le minacce che gli alleati si sono scambiati ieri è troppo folta per renderne conto. Basti dire che una maggioranza così ridotta, a rigor di logica, non potrebbe resistere neppure altre 24 ore.

Le figure chiave del governo non si parlano e nemmeno si scrivono: comunicano per interposte testate. Con una lettera, come fa Giuseppe Conte, con interviste al vetriolo, come quelle rilasciate da Salvini e Di Maio.

Governo fragile La divisione della maggioranza a Strasburgo non è un incidente di percorso: è il riflesso di una incompatibilità profonda, radicata e non recuperabile.

E' il temporale che si abbatte su un edificio fatiscente rivelandone la fragilità strutturale. Lo start della corsa verso la crisi, che forse verrà fermata in extremis e forse no, è stato quel voto Paralizzato, lacerato, privo di orizzonti il governo tuttavia non tenta ancora di non cadere.

Segno indiscutibile che un collante ancora deve esserci. In effetti c'è, ma non è la condivisione di un progetto, fosse pure solo a breve termine e ' contrattualizzato'.

E' piuttosto la paura, o meglio la somma delle diverse paure che obbliga quasi tutti gli attori in scena alla paralisi e all'immobilità.

Il collante della paura Il Movimento Cinque Stelle ha paura delle elezioni e lo si può capire. Se negli ultimi giorni ha alzato i toni dopo il silenzio seguito alla sconfitta elettorale è perché l'ipotesi del voto in settembre non sembra più praticabile e scavallata quella data la crisi non comporterebbe più automaticamente lo scioglimento della legislatura, a finanziaria aperta e con il rischio dell'esercizio provvisorio.

Proprio l'ombra del ribaltone, di una maggioranza alternativa raccolta in nome del ' superiore interesse nazionale' è la paura che frena Salvini. Quel sospetto non è nato pochi giorni fa a Strasburgo ma di certo è diventato dopo quel voto molto più corposo.

L'esistenza di una maggioranza europea che taglia fuori la Lega rende infatti infinitamente più plausibile il trasferimento della stessa maggioranza anche nel Parlamento italiano.

La paura che attanaglia il presidente del Consiglio è la più ovvia: quella di uscire bruscamente di scena. Ma mentre l'effetto della paura sui due partiti della maggioranza è paralizzante, per il premier, che gode di ben altra libertà di movimento essendo una specie di battitore libero, è vero l'opposto.

Conte in queste ultime settimane si è mosso parecchio, dimostrando di essere assai meno sprovveduto di quanto si sarebbe detto all'inizio del suo mandato. Conte è oggi il vero diarca del governo, la sola guida di cui disponga un M5S allo sbando, il punto di riferimento del Colle e soprattutto, dopo la manovra brillante realizzata a Strasburgo a spese del Carroccio la sponda delle cancellerie europee e di Bruxelles.

In breve, Conte è il solo che abbia impostato una strategia provando sì a resistere ma anche preparandosi che lui per primo sa essere più prima che poi inevitabile.

La Lega in ritardo? Se Salvini, che pure ancora esita, ha cambiato nelle ultime 48 ore atteggiamento arrivando a un passo dal fare quello che il suo stato maggiore gli chiede da settimane, cioè aprire la crisi, è perché ha subodorato quella manovra.

Non a caso ripete da due giorni che la maggioranza M5S- Pd è dietro l'angolo. Solo che il tempo lavora contro di lui. Dieci giorni fa quell'ipotesi sarebbe stata pura fantapolitica, oggi è un'opzione possibile ma ancora incerta.

A settembre, con lo spettro dell'esercizio provvisorio incombente e Draghi vicinissimo alla scadenza del mandato alla Bce, pronto quindi a guidare un governo di salvezza nazionale o più probabilmente a occupare la poltrona del Mef da cui spiccare poi il balzo verso il Quirinale, quella strada diventerà quasi obbligata.

Salvini ha perso l'occasione per dare l'arrembaggio a palazzo Chigi quando il gioco sarebbe stato facile, subito dopo le elezioni europee e con la possibilità di votare in settembre.

Ha ancora una settimana per tentare una carta che sarebbe oggi comunque molto più azzardata che un paio di settimane fa. Se sceglierà di non correre il rischio, in autunno si troverà con mani e piedi legati. O forse incaprettati.