La finale di Supercoppa, disputata pochi giorni fa a Riad, è stata un successo organizzativo e di immagine per tutto il calcio italiano. Bisogna, però, profondere sempre più sforzi. Ne è convinto il presidente di Lega Serie A, Lorenzo Casini.

Presidente Casini, in passato la Serie A veniva considerata il “campionato più bello del mondo”. Come si può ritornare ai fasti di un tempo?

L’Italia è ancora il Paese più bello del mondo, perciò lo è anche la Serie A, no? Scherzi a parte, il nostro campionato è stato sempre noto come il più difficile, per via della rocciosità dei difensori e della qualità dei nostri allenatori. Forse con il tempo questa supremazia tattica ha portato a un gioco meno veloce e certamente più interrotto e frammentato. Ciò al di là della presenza in Serie A di campioni e di vincitori di palloni d’oro. È quindi importante lavorare su diversi aspetti, incluso il ritmo di gioco e le pause, partendo prima di tutto dai settori giovanili: forse sarebbe bene non pensare da subito agli schemi, anche per ridurre il tasso di abbandono dei più piccoli.

Quali sono gli obiettivi del 2023 della Lega di Serie A?

A fine anno abbiamo predisposto un documento articolato, con molte proposte per rilanciare il calcio italiano, sotto ogni aspetto. La maggior parte delle azioni indicate sono state condivise anche con la Lega Serie B, che ringrazio. Abbiamo avuto interlocuzioni fruttuose anche con altre componenti. I principali obiettivi sono quelli di aumentare le risorse, migliorare le infrastrutture e rafforzare i collegamenti tra calcio, sport e cultura.

Gli impianti e i vivai delle squadre di calcio sono le leve per far diventare ancora più importante la Serie A?

Sì. Gli impianti, intesi sia come stadi, sia come centri sportivi, sono la priorità ed è urgente intervenire. La Lega Serie A ha attivato un laboratorio infrastrutture, dove sono stati predisposti dossier per ogni stadio. Sono indicati i nodi che impediscono di realizzare nuovi impianti o di rendere più moderni quelli esistenti. Abbiamo chiesto al governo e al ministro Abodi di convocare la cabina di regia già costituita lo scorso luglio presso la presidenza del Consiglio, dove sono presenti tutte le amministrazioni coinvolte nei procedimenti relativi agli stadi.

Il passaggio d’anno ha portato via diversi campioni. Cosa hanno lasciato al calcio?

La scomparsa prematura di Siniša Mihajlovic e di Gianluca Vialli, portati via da una terribile malattia, è stato un duro colpo per tutti, prima di tutto le famiglie.

La reazione del pubblico è stata la conferma di quanto il calcio e lo sport in genere abbiano il potere di muovere masse e passioni, perché suscitano diversi ricordi ed emozioni. Siniša è stato un combattente e tutti ricordiamo i suoi record di gol su punizione e la sua tenacia. Per un italiano della mia generazione, Vialli è, insieme con Baggio, il riferimento più importante per capire davvero chi sia un capitano e un campione, dentro e fuori dal campo. La morte di Pelè ha segnato la fine di un’epoca: se ne è andato il calciatore, lo sportivo, l’uomo che forse più di tutti ha cambiato questo sport.

Il 2022 si concluso senza che potessimo sostenere la nazionale ai Mondiali del Qatar. Cosa ha provato vedendo le partire delle altre squadre?

Ho provato tanta tristezza, anche perché neanche nel 2018 siamo andati in Russia. E perché io sono cresciuto con il mito del 1982, guardando l’Italia di Zoff, Rossi e Tardelli. La nazionale è un patrimonio collettivo e quando gioca il Paese tiene sempre il fiato sospeso. Per fortuna questa estate avremo la nazionale femminile. A marzo 2022 ho commentato la mancata qualificazione invocando una riflessione profonda sull’intero movimento. La Serie A ha lavorato per questo ed è pronta con le sue proposte di riforma. Mi auguro che la Federazione e anche gli altri siano disponibili a seguire la componente che sostiene economicamente tutto il calcio italiano e, tramite il carico fiscale, la gran parte degli altri sport.

Il calcio è un formidabile mezzo per diffondere i migliori valori non solo legati allo sport. Pensa che qualche Stato voglia utilizzarlo per rifarsi un’immagine migliore?

È sempre avvenuto, con il calcio come con lo sport in generale. La storia insegna che i giochi olimpici sono sempre stati occasione per rafforzare la posizione politica di uno Stato, migliorarne le relazioni diplomatiche o rilanciarne l’immagine internazionale. Lo sport e il calcio non debbono essere strumenti dei governi, sarebbe anche contro la Carta olimpica. Ma se i valori positivi e la promozione dei diritti umani che il calcio può contribuire a diffondere diventano parte di politiche internazionali di alcuni Paesi, allora possiamo esserne contenti.