Il partito di maggioranza ha sempre dato le carte del gioco. Di Maio non lo sa. È del 1986, aveva otto anni. Davide Casaleggio dovrebbe essere più consapevole, era un vispo diciottenne. Grillo era un uomo maturo, ma pensava ad altro. Mi riferisco al momento della scomparsa della Dc, la balena bianca che aveva guidato ininterrottamente la politica italiana per quasi cinquant'anni. Forse Mino Martinazzoli fece bene a farla uscire di scena quasi in segreto, senza troppo clamore, come una anziana signora che abbandona la vita di società.

Questo per dire che chi arriva oggi a scegliere il forno al quale acquistare il pane del potere rischia di non avere una percezione chiara di cosa sia la proporzionale, con il pericolo di credere si tratti di una sorta di mercato delle vacche, di notte tutte nere, nel quale è possibile fare qualunque voltafaccia, cambio di maggioranza, ribaltone o ribaltino.

Ebbene: non è così. Anche nei momenti di peggiore, o migliore fate voi, trasformismo, dal Connubio di Cavour, alla stagione di Depretis, a Giolitti e a Berlusconi, è il partito di maggioranza a fare il gioco, a dare le carte, a scegliere i propri interlocutori, non a mettersi sul mercato pronto a vendersi al miglior offerente. Il forno sono gli altri, chi ha la golden share compra. Fare memoria politica della nostra storia collettiva, dopo che quasi tutti i suoi protagonisti sono usciti di scena, non è un esercizio da professori universitari ma una responsabilità di chi intende governarci nei prossimi anni. Insomma, la politica è, per lo meno anche, una cosa seria. Chi costruisce, legittimamente, una formula di governo con ambizioni di legislatura, visto il suo crollo avvenuto dopo poco più di un anno, non può immaginare di lavorare per creare la successiva, senza soluzione di continuità. Perciò se proprio bisogna, arrivi pure un nuovo governo al posto delle elezioni che nessuno vuole, ma ciò non deve accadere con lo stile dei quattro cantoni, lasciando in mezzo il più sprovveduto, o il più ingenuo dei giocatori. Per uscire dal qualunquismo sovranista e populista occorrono dosi massicce di serietà politica. In esse dovrebbe essere compresa, almeno questa volta, una qualche emergenza di un dibattito interno sia ai 5S quanto alla Lega e al Pd che si spinga un po' oltre la riflessione sulla composizione dell'ipotetico nuovo Parlamento, nei numeri e nelle persone. E un confronto politico serio comporta una riorganizzazione dei vertici organizzativi. Salvini non può credere di non essere responsabile del contratto stipulato con Di Maio. E viceversa.

Non è un caso fortunato ma l'affermazio-ne di una tradizione politica seria e condivisa se il Presidente della Repubblica - una personalità che della storia democristiana è stato partecipe e protagonista - non si lascerà stringere in un ruolo certificatorio di un qualunque accordo di potere. I notai, quelli veri, controllano la correttezza della documentazione presentata prima di passare alla stipula dell'atto.