L'intreccio di notizie sullo stato del sistema bancario mostra ai comuni cittadini, ai risparmiatori, che siamo in presenza di una crisi che richiede interventi urgenti e drastici, presentati come necessità oggettiva, che comportano sacrifici, pazienza e perseveranza. Renzi si propone come l'unico possibile solutore dei problemi accumulatisi nel corso di decenni nei quali, purtroppo per gli italiani è sottinteso, a governare il paese non era lui. La sua narrazione, mistificatrice della realtà, si sviluppa sulla falsariga dei provvedimenti che lui ha avuto il coraggio di adottare, "a prescindere" avrebbe detto il grande Totò. A lui è estranea l'analisi della crisi e le sue caratteristiche strutturali. Per ogni problema, reale o presunto che sia, propone la soluzione che pensa utile alla acquisizione o al mantenimento di consensi nella specifica circostanza. L'ipotesi che le misure da lui adottate, peraltro in coerenza con quelle dei suoi predecessori, siano esse stesse un fattore di crisi che spinge ulteriormente verso il basso le condizioni di vita medie dei cittadini e aggrava le già pesanti condizioni degli anziani, dei malati, delle giovani generazioni, non lo sfiora. Anzi, persino la de-forma della Costituzione Repubblicana viene arruolata al servizio delle sue politiche. Ed è coerente, del resto questa riforma che deforma la Costituzione è stata chiesta e dettata dalla JP Morgan, la potentissima banca americana che il presidente del Consiglio e i suoi amici finanzieri stanno cercando di coinvolgere nelle vicende del Monte Paschi di Siena e il ricco mercato dei crediti inesigibili che gravano sul sistema bancario e possono costituire un asset speculativo di dimensioni considerevoli.Di recente, davanti ad una platea di interessati e plaudenti uomini (e donne) d'affari, ha rivendicato la scelta di avere trasformato per decreto le Banche Popolari in società per azioni attribuendo a questa misura il valore di misura preventiva contro una catastrofe del sistema bancario. Altrettanto ha fatto rispetto alla liquidazione delle quattro banche di cui l'Etruria rappresenta il caso più eclatante. Ovviamente nessuna analisi e nessuna considerazione circa le premesse le motivazioni e le conseguenze di quegli atti. In lui è incrollabile la certezza che tutto ciò che è nelle mani di altri che non sia lui è un male e che tutto ciò che può mettere nelle mani del "mercato" e nella disponibilità delle scorribande dei suoi amici finanzieri rappresenta le magnifiche sorti e progressive che il paese ha dinnanzi sotto la sua guida. Le scorribande spericolate di top manager non sono oggetto di attenzione come le operazioni spregiudicate che hanno portato ignari risparmiatori a perdere tutto e, persino, al suicidio.Se risparmiatori si associano per gestire in forma cooperativa istituti bancari, gestire in modo diverso da quello speculativo la politica creditizia, questo è considerato arcaico, conservatore, remora per il paese.In tutto il mondo cresce un'area importante di gestione del credito e del risparmio in forma cooperativa; anche nell'Europa disastrata dell'Euro e del vuoto politico i singoli paesi forti e meno forti, dalla Germania alla Francia, dall'Olanda al Regno Unito, i governi sostengono lo sviluppo di questo settore proprio per il valore dello spirito solidale che lo muove e lo anima e per l'economia di prossimità che riesce a sviluppare. In Italia, forse per il riconoscimento specifico che questo settore trova nella Costituzione da rottamare, il nostro presidente fa il contrario e cerca di arruolare al suo pensiero anche uomini illustri che, invece, il Credito Cooperativo e le Banche Popolari avevano sostenuto. Certo i suoi amici e referenti finanzieri non possono che gioire della possibilità di mettere le mani su una quota ingente del risparmio dei cittadini italiani.Eppure, come avviene nel resto del mondo e nell'Europa, e persino nei paesi che si sono avviati, nelle più diverse forme e condizioni, allo sviluppo economico e sociale, anche in Italia resiste quella pianta della cooperazione nel settore bancario che Renzi pensava di rottamare. Resiste e cresce.I dati recenti che si possono rilevare dai documenti delle singole banche e che sono ben rappresentati sul sito dell'Associazione Nazionale delle Banche Popolari ci parlano di una realtà viva ed interessante; ma gli economisti mainstream e i giornalisti à la page non si occupano di queste cose, seguono gli algoritmi che regolano la grande finanza speculativa che ricatta interi paesi.A dicembre 2015, quindi dopo i colpi di maglio inferti dal prode presidente alle Banche Popolari meno di un anno prima, le banche popolari, cooperative a mutualità non prevalente, associate sono 63, le società finanziarie da esse controllate 52 e i corrispondenti di queste istituzioni sono 150. Questi numeri esprimono una realtà viva che è fatta di 1. 380.000 soci, persone in carne ed ossa e non azioni anonime, 12.400.000 clienti che si rivolgono a questi istituti attraverso una rete di 8.823 sportelli serviti da 80.700 dipendenti.Pensare che questo settore non abbia risentito e non risenta i morsi della crisi economica, della caduta dell'attività produttiva sarebbe ingenuo; ritenere che esso sia più elastico e più sensibile all'andamento delle condizioni economiche locali, legate alle attività produttive del territorio, e che questo se, per un verso, le mette al riparo delle avventure speculative sui tavoli delle roulette dei mercati finanziari, per l'altro verso lo rende attivo fattore di sviluppo, è un fatto di cui avere piena consapevolezza anche per trarne indicazioni utili. Sempre che si vogliano cercare indicazioni utili socialmente.Intanto queste banche di prossimità esprimono un totale attivo di 450 miliardi, dispongono di una provvista di 435 miliardi e ne hanno impiegati, a dicembre 2015, 395. Rappresentano il 25,8% della provvista, il 25,4% degli impieghi e il 29,3% degli sportelli dell'intero sistema bancario del paese. I valori medi di patrimonializzazione si attestano al 15,6%, ben saldi nella fascia alta di sicurezza.E vale la pena ricordare che hanno erogato nuovi finanziamenti alle Pmi per 29 miliardi di euro e alle famiglie, più che raddoppiando il dato del 2014, per 12 miliardi di euro.E' legittimo pensare che nel quadro disastrato dell'economia del paese questo sistema rappresenta uno dei pochi elementi che ancora evitano un crollo generale dando ossigeno alle comunità nelle quali operano. Ed è giusto rendere omaggio a quella cultura liberale e socialista umanitaria che centocinquanta anni fa intuì che bisognava dotare il sistema sociale di istituzioni solidali e autogestite, bisognava immettere biodiversità in un sistema che, affidato al mercato, avrebbe accentuato le diseguaglianze e condannato parti importanti della popolazione.Scriveva Luigi Luzzatti nel 1863 ne «la diffusione del credito e delle banche popolari»: «?. Queste considerazioni valgono pur anche per le banche popolari; perché l'economia politica col libero scambio e con tante istituzioni che d'un luogo si diffondono in mille altri è la prova materiale della fratellanza del genere umano!... A mo' d'esempio, nei paesi più colti e civili dell'Europa, l'operaio migliora di giorno in giorno, una certa media uniforme ne regola i salari, oggidì specialmente che le dogane quasi abbattute mutano il mondo in un solo mercato dove si deve lottare ad armi eguali nel terreno della concorrenza... In ogni riforma economica, e più specialmente in quella del credito, v'è un sottinteso che sorregge tutta la scienza, e senza cui essa cade come corpo morto, ed è il sottinteso della educazione. Senza la riforma dei costumi e la luce della istruzione i progressi dell'economia e della industria non fanno che un piccolo passo? e se pur fossero splendidi a che gioverebbe un bel corpo senza una bella anima? ».E' evidente che Renzi, Boschi e l'assortita compagnia che governa il paese sono estranei a quella cultura e la considerano un intralcio alle loro immaginifiche e spericolate manovre di ingegneria finanziaria e di destrutturazione dell'ordinamento democratico costituzionale.