Da sempre il professor Vittorio Fanchiotti, emerito dell’Università di Genova, studia il processo penale statunitense. Pochi giorni fa l’arresto e il successivo

Il professore emerito Vittorio Fanchiotti

Professor Fanchiotti, nei 34 capi di imputazione che riguardano Trump troviamo anche la “conspiracy”. Di cosa si tratta?

I 34 capi dell’indictment, elenco dei reati contestati dal prosecutor (il pm, ndr), riguardano solo quello, previsto dal Penal code dello Stato di New York, di “falsifying business records”, nella sua forma più grave, caratterizzata dall’intento di commettere una frode e un altro reato occultandone la commissione, che comporta la detenzione fino a quattro anni. I reati si riferiscono a pagamenti effettuati nel 2017 per restituire l’esborso di almeno 130mila dollari da parte di un avvocato di Trump nell’imminenza della chiusura della campagna elettorale del 2016 per “comprare” il silenzio di una pornostar, la cui relazione con lo stesso Trump ne avrebbe potuto compromettere la vittoria. La conspiracy, reato consistente nell’accordo per commetterne un altro, non è contenuta in nessuno dei 34 capi. Se ciò in teoria non desta meraviglia, poiché il prosecutor statale, eletto a suffragio universale, ha piena discrezionalità nell’esercitare l’azione penale, nel caso Trump la situazione non è del tutto chiara.

Ci spieghi meglio…

L’indictment è accompagnato da uno “Statement of facts” dello stesso prosecutor, dove questi spiega come i reati contestati dimostrino che l’imputato ha commesso i falsi orchestrando con altri uno schema per influire sulle elezioni del 2016, attuando una condotta criminosa volta a occultare informazioni pregiudizievoli, “comprandole” e impedendone la pubblicazione. Lo Statement sembra il resoconto di un caso “classico” di conspiracy, ma non menziona mai la parola in questione. La ragione sta nel fatto che, per considerare ognuno dei 34 reati nella sua configurazione più grave, basta provare che è stato commesso con l’intenzione di commetterne o occultare un altro, che, però, non dev’essere necessariamente contestato né provato. Presumibilmente l’accusa si riserva di sciogliere il silenzio sulla conspiracy nel prosieguo del processo.

L'ex presidente ha annunciato di voler chiedere lo spostamento del processo da Manhattan a Staten Island. Il sistema penale americano prevede una cosa del genere?

È prevista la “Change of venue”, che sposta il giudizio da una sede ad un’altra, ma è usata molto raramente. Per ogni giudizio è costituita una giuria ad hoc i cui membri, selezionati sorteggiando gruppi di cittadini, sono sottoposti dalla difesa e dall’accusa a domande dirette a verificare l’assenza di pregiudizi, che ne comportano la ricusazione. L’apporto delle parti contrapposte garantisce il carattere più imparziale possibile della giuria, minimizzando l’esigenza di spostare il giudizio.

L'arresto di Trump, appena giunto in Tribunale, ha destato molta curiosità e attenzione. Quando interviene l'arresto nel sistema penale americano?

L’arresto è la modalità tipica dell’inizio del procedimento per gli “Street crimes”: esso può essere disposto per ogni “felony”, reato punibile con pena detentiva superiore ad un anno. Sono più di 10 milioni gli arresti ogni anno, ma l’arrestato, dopo essere stato condotto nella Police station, entro 24- 48 ore è presentato davanti a un giudice che decide nell’ 80% dei casi la sua scarcerazione su cauzione. Circa i “White collar crimes”, per cui raramente si è colti in flagranza, di norma le indagini si svolgono in segreto davanti ad un Grand jury. Solo se questo rinviene elementi idonei per il rinvio a giudizio,

il prosecutor formula l’indictment e viene emesso un ordine di arresto. Così è avvenuto a Trump, posto in arresto,” in custody” presso la polizia di New York, che ha proceduto a “schedarlo”, quindi lo ha condotto davanti al giudice che gli ha formulato i 34 capi d’accusa. Dichiaratosi non colpevole, Trump è stato poi rilasciato.

Il Grand jury che ha incriminato Trump è uno “strumento” del prosecutor o gode di una certa autonomia?

Il Grand jury è un organo collegiale, composto da 23 cittadini scelti per sorteggio. Dura in carica 18 mesi, decide a maggioranza sulla fondatezza dei casi che il prosecutor intende perseguire e indaga in segreto, alla presenza del prosecutor ma non della difesa. Pur dotato formalmente di piena autonomia e fornito di ampi poteri d’indagine, in pratica è manovrato dal prosecutor, che, avendo una previa conoscenza del caso, suggerisce le prove da raccogliere. Non a caso la quasi totalità delle indagini si conclude con un provvedimento, che, accogliendo le richieste dell’accusa, consente l’emanazione dell’indictment.

Il processo penale statunitense è di chiara impronta accusatoria? La difesa ha spazi di azione limitati?

Naturalmente è accusatorio, visto come “duello” tra le parti, ove la parte “debole”, l’imputato, è irrobustita da garanzie costituzionali per controbilanciare i poteri del prosecutor, che, organo pubblico, strutturalmente dispone di risorse superiori. Solo il 5% degli imputati però affronta il dibattimento, in cui il duello è ad armi pari. L’altro 95% sceglie un “Plea bargaining”, negoziando una dichiarazione di colpevolezza in cambio di derubricazioni, archiviazioni parziali, riduzioni di pena, in un contesto in cui è però il prosecutor a decidere se aderire, dettando le regole della “contrattazione”. Quest’ultima comunque comporta la rinuncia al giudizio ove si concentrano i diritti della difesa connessi al sistema accusatorio, che finisce così per assumere uno spazio residuale. Il “vantaggio” del ricorso al “bargaining” è però relativo. Si pensi che nel 2020 erano più di 2 milioni i detenuti definitivi. Ciò dipende, tra l’altro, dall’estrema severità del sistema sanzionatorio e dalla realtà dei negoziati, in cui la difesa spesso “gioca al buio”.