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Carlo Smuraglia è una persona serissima, un intellettuale degno di rispetto. Però quando dice che Il Pci di Togliatti e Berlinguer era più aperto al dissenso del Pd di Renzi, dice una cosa sbagliata, e molto probabilmente una cosa che lui stesso non pensa. Spesso la polemica politica porta a esagerazioni che tradiscono il pensiero di chi la esercita. Purtroppo questi eccessi di polemica, non di rado, impediscono che le discussioni siano serie. Le trasformano in semplici e inutili risse. E questa abitudine danneggia molto la politica italiana.Oltretutto, per restare alle affermazioni di Smuraglia (che è il presidente dell'Anpi, cioè dell'associazione dei partigiani italiani), il Pci di Togliatti e quello di Berlinguer erano partiti molto diversi. Quello di Togliatti era un partito in gran parte stalinista, e dunque con una aspirazione totalitaria. Quello di Berlinguer no. Tuttavia anche il partito di Berlinguer aveva una modesta idea del diritto al dissenso. Carlo Smuraglia sostiene che ai tempi di Togliatti e Berlinguer tutti erano invitati alla festa dell'Unità e nessuno si sarebbe sognato di escludere dagli inviti ufficiali chi era contrario alla linea del Partito su un referendum, o di chiedergli di non esprimere il proprio dissenso (come pare sia successo quest'anno).Provo a immaginarmi come sarebbe stata accolta a una Festa dellUnità, nel 53 (quando infuriava la battaglia contro la legge elettorale di De Gasperi: la cosiddetta la legge truffa) una associazione che avesse voluto sostenere la legge truffa. Credo a bastonate. Era il partito di Togliatti. Ma non penso che il partito di Berlinguer (o persino quello di Natta e Occhetto) avrebbe accolto con un sorriso i compagni socialisti che avessero voluto sostenere il sì al taglio della scala mobile, alla vigilia del referendum dell85, promosso dal Pci. Le bastonate forse no, ma qualche schiaffone sarebbe volato...Del resto mi pare che persino in questi giorni ci siano partiti di sinistra che propongono non so se lespulsione o la rimozione dagli incarichi di direzione dei propri dirigenti che al referendum voteranno sì (parlo del caso del Friuli Venezia Giulia, dove il capogruppo alla regione di Sel, Giulio Lauri, è sotto processo per il dissenso sul referendum espresso in unintervista).A me, personalmente, moltissime scelte del governo Renzi non sono piaciute, dal Job Aact, alla riforma della scuola, a tante altre. E anche questa riforma costituzionale mi pare malriuscita, perché non modifica davvero il nostro sistema di governo, e si limita a correggerne alcuni dettagli al solo scopo - credo - di rendere possibile lItalicum, cioè la legge elettorale. Più che una riforma costituzionale mi pare un accorgimento tecnico-costituzionale che serve solo a modificare il meccanismo delle elezioni e a renderlo più organicamente e legittimamente maggioritario.Quando però sento dire che questa riforma seppellisce la Costituzione, tradisce i valori antifascisti, mette in mora la democrazia, ho il leggero sospetto che nelle argomentazioni di moltissimi sostenitori del No ci sia non una giusta (o comunque legittimissima e da me largamente condivisa) critica, ma un pregiudizio e una volontà evidente di fare propaganda e di creare confusione.La riforma Renzi non tocca in nessun punto i principi dell'antifascismo che sono alla base della nostra costituzione, e che pervadono la prima parte della Carta (che infatti non viene neppure sfiorata dalla riforma). I principi della libertà, della tolleranza, della solidarietà sociale, dell'antiautoritarismo, del garantismo limpido e cristallino. Principi che non sempre ho sentito sostenuti con passione dallo schieramento del No, o comunque da ampie fette di questo schieramento. Molti sostenitori del No non amano la parte solidaristica della Costituzione (che considerano catto-comunista). Altri non amano invece la parte garantista (che considerano pericolosa un po' anarchica e antigiustizialista). Altri aborriscono lo spirito politico e antipopulista della Costituzione (basta dire che proprio in queste ore il movimento 5 Stelle chiede un referendum che abroghi un trattato internazionale, cosa vietata dai padri costituenti, che osteggiavano tutte le forme di populismo, e anche di plebiscitarismo, proprio perché paventavano che fossero l'anticamera del fascismo).Ma allora, mi chiedo, l'Anpi, che c'entra in questa discussione? Io ricordo cosa faceva l'Anpi tanti anni fa, quando io ero ragazzo: riuniva gli ex partigiani e propugnava l'antifascismo. Oggi il tempo è passato, la gran parte degli iscritti all'Anpi, come è logico, non è formata da ex partigiani, perché sono poche centinaia gli ex partigiani ancora in vita. E' giusto che una organizzazione si arroghi la esclusiva dell'antifascismo e sostenga che una riforma che modifica il meccanismo elettorale sia una riforma che tradisce l'antifascismo? A me sembra una enormità. Tanto più che non ricordo grandi sollevazioni, né da parte dell'Anpi né da nessuna altra parte quando in Italia fu abolita (peraltro con un referendum) la legge elettorale proporzionale e fu introdotto il sistema maggioritario (il cosiddetto "mattarellum"), molto severo verso le minoranze e i piccoli partiti che non accettassero compromessi coi partiti più grandi. Quella riforma stravolse alcuni principi della prima Repubblica, nata appunto della Resistenza ((la proporzionalità della rappresentanza in parlamento), molto più di quanto fa questa.Possibile che non si riesca ad avere una discussione seria sulla Costituzione, sul sistema elettorale e sulle sue modifiche? Che magari spinga a nuove e più incisive riforme? Possibile che tutto debba ridursi a una specie di "religione antirenziana", che assomiglia molto alla religione "antiberlusconiana" che ha regnato negli ultimi vent'anni?