IL MOSAICO

«Pura fantasia» scritto in una nota fatta circolare dal Quirinale non è una semplice smentita: piuttosto una rasoiata. Come pure votare a marzo o maggio 2018 non è solo una questione di calendario: dietro c’è un cela un intrigato risiko politico, e c’è chi scommette sia di portata tale da condizionare addirittura l’esito elettorale. Sono i due fili conduttori che danno corrente ai Palazzi della politica ed è bene che restino distinti. Perché se invece si toccano ne nascerebbe un cortocircuito che manderebbe in tilt quell’ «ordinata fine della legislatura» che è il chiodo fisso di Mattarella e Gentiloni. E’ per questo che il Colle ha reagito così duramente alle ipotesi che lo vedevano coinvolto nella determinazione della data di scioglimento delle Camere. Il fatto che sia una prerogativa che gli assegna la Costituzione è pacifico: non va bene se qualcuno prova a tirarlo per la giacca spingendolo verso l’una o l’altra scelta. La legislatura finisce il 14 marzo prossimo: per continuarla ci vuole lo stato di guerra. Ragion per cui il Presidente deve sciogliere entro quella data. Se però una volta approvata la legge di Stabilità, il premier sale al Colle per dire che il governo ha esaurito il suo compito, allora si può sciogliere subito. I sessanta giorni che intercorrono tra marzo e maggio potrebbero essere spesi per varare leggi importanti, tipo lo ius soli. Però, com’è noto, mancano i numeri; i centristi sono contro e la débâcle di Ap in Sicilia non sembra la migliore spinta a far cambiare opinione. Quei due mesi, però, possono anche servire ad appianare gli ostacoli che allo stato rendono impossibile creare una coalizione. Quella di sinistra, tanto per dire. Può una istituzione super partes per definizione vedersi infilata a sua insaputa nella partita tra chi quel tipo di accordo vuole comunque e chi, al contrario, spiega che non può essere «ad ogni costo», come fa il presidente del Pd, Matteo Orfini? Ovviamente non può. E neppure deve. Se c’è una cosa che Sergio Mattarella non può accettare è vedersi accusato di tendenziosità. Quelle due parole - «pura fantasia» - valgono adesso e a futura memoria. Definiscono la cifra di comportamento, e la consapevolezza del suo ruolo, di un capo dello Stato.