Quasi un anno fa – era il 30 marzo 2023 - l’avvocata Federica Maccioni del Foro di Ancona veniva ferita quasi mortalmente. L’aggressore era un uomo nei confronti del quale la professionista svolgeva l’attività di amministratore di sostengo. Impossibile dimenticare gli istanti che per poco non si trasformarono in tragedia. Una coltellata perforò un polmone dell’avvocata. A distanza di undici mesi, i ricordi sono ancora vivi. «Noi avvocati – dice al Dubbio Federica Maccioni – possiamo trovarci in situazioni di grande pericolo inaspettatamente. Il mio caso lo dimostra. Per fortuna sono riuscita a salvarmi e posso raccontare la mia esperienza, sperando che nessuno si trovi mai nella situazione che ho vissuto io».

Nel 2023 l’avvocata si recò nell’abitazione del suo aggressore, malato oncologico, che usufruiva di un servizio di taxi sanitario per essere accompagnato in ospedale per le cure del caso. La mattina del 30 marzo l’imprevedibile. L’uomo si rifiuta di andare in ospedale. L’avvocata Maccioni nel tentativo di convincerlo, in quanto amministratore di sostegno, viene aggredita sulle scale. «Sono stati attimi terribili – racconta – in un contesto che non avrei mai immaginato. Attimi impossibili da dimenticare con i ricordi che affiorano sempre. Sono stata scaraventata a terra dal mio aggressore. Ma proprio in quel momento ho tirato fuori tutte le forze che avevo a disposizione. L’istinto di sopravvivenza mi ha aiutata».

A questo punto il racconto dell’avvocata Maccioni si fa più drammatico. «È stata – afferma una vera e propria lotta per salvarmi. Se penso a come poteva andare a finire, ora mi ritengo molto fortunata. Una coltellata mi ha perforato un polmone, ma sono riuscita a guarire. A livello psicologico, dopo i lunghi periodi trascorsi in ospedale, la ripresa non è stata veloce. Mi sono detta che dovevo reagire con tutte le forze con cui sono riuscita a salvarmi.

Per questo motivo ho preferito subito riprendere il lavoro per non rimanere bloccata dalla paura. Certo, adesso, non ricevo più nessuno in studio senza la presenza di almeno un’altra persona. Quello che è successo a me in realtà avrebbe potuto riguardare altri colleghi. La mia esperienza può essere utile per riflettere sulle situazioni di pericolo che ogni avvocato può essere costretto ad affrontare. Spesso, quando si parla di avvocati in pericolo, il pensiero va ai colleghi che lavorano in Paesi segnati da guerre e che sono soffocati dalle dittature. Non è sempre così».

Il grave episodio dello scorso anno induce l’avvocata Maccioni a soffermarsi sul ruolo dell’amministratore di sostegno. «Sarebbe utile – commenta - intervenire su alcune criticità che questo istituto spesso porta con sé anche per sensibilizzare un intervento di riforma della normativa vigente. La legge risale al 2004 e proprio quest’anno ricorre il ventesimo anno della sua entrata in vigore. Servirebbe un intervento legislativo a maggiore tutela proprio di quelle situazioni in cui il ruolo è ricoperto da un avvocato, con la possibilità, ad esempio, di richiedere il gratuito patrocinio. Non sempre si riesce a ottenere l’equa indennità, che è praticamente l'unico riconoscimento economico che ci viene riconosciuto, anche se irrisorio. Si potrebbero introdurre delle tabelle per le liquidazioni delle eque indennità e poi si potrebbe aprire una riflessione, a partire dalla mia esperienza, sull’importante istituto della tutela. Le amministrazioni di sostegno, spesso, vengono utilizzate nei casi in cui invece sarebbe molto più adeguato l’istituto della tutela. Ad esempio, il Tribunale di Ancona è assolutamente contrario alle tutele.

Si tratta di un problema concreto, perché comunque con l'amministrazione di sostegno rimane un margine di capacità di autodeterminazione in capo all'amministrato, che impedisce la sua tutela e con la tutela sua anche quella della collettività. Pensiamo a un beneficiario tossicodipendente che non vuole entrare in comunità per curarsi. L’amministratore di sostegno non lo può costringere a rimanere in comunità e se decide liberamente di firmare le dimissioni per uscire può farlo. Spesso e volentieri capita che la persona con gravi disagi si ritrovi riversata sulla società, diventando un pericolo perché comunque non è in grado di provvedere a sé stesso da solo, con la conseguenza che alcune problemi non vengono affatto risolti». L’impegno dell’avvocata Maccioni prosegue e l’episodio che l’ha riguardata un anno fa non ha ridimensionato l’amore per la toga e la professione forense.