PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DEI MINORI DI TRENTO

AVVOCATO, RESPONSABILE UFFICIO TUTELE METROPOLITANO BOLOGNA

Uno strumento interlocutorio, per uno strano paradosso che la natura sostiene quotidianamente in tanti altri ambiti, più di altri ha necessariamente bisogno di essere disciplinato in modo chiaro ed attuale rispetto al contesto di riferimento. A questa regola non si sottrae nemmeno l'affidamento familiare, istituto a supporto del nucleo genitoriale temporaneamente in difficoltà e pronto ad accoglierne la prole minorenne, a tempo parziale o continuativo benché per un lasso temporale limitato.

Come in una sorta di analisi grammaticale, questa frase si regge su proposizioni principali e subordinate che non possono prescindere dalle prime, salvo il rischio o per meglio dire la certezza che altrimenti quell'affermazione perderebbe il significato che la legittimava, la sua utilità, la sua funzione, giuridica e sociale, come verrebbe detto dai tecnici.

Sostenere il soggetto minore d'età e la sua famiglia all'interno del medesimo intervento sociale e giurisdizionale è tutt'altro che utopistico ma è anzi ciò che accade o dovrebbe accadere ogniqualvolta il Sistema di giustizia minorile sceglie l'affidamento familiare quale mezzo per tutelare, in quella precisa situazione, il minorenne in difficoltà ed il nucleo al seguito. Non si può d'altra parte escludere che quello stesso nucleo sia ritenuto responsabile di tale disagio, ma è lo stesso legislatore a chiarire ( già nella 184/ 83) che l'intervento di sostegno, per quanto possibile, debba ricomprendere tutto il nucleo quale destinatario dell'aiuto dei Servizi pubblici deputati.

Ciò è tanto più vero nel momento in cui si coglie la natura del collocamento eterofamiliare quale extrema ratio, avendo il minorenne diritto ad una famiglia ed in primis a vivere presso la propria famiglia, presso la quale si auspica un pronto rientro.

Tutte considerazioni queste che restituiscono il senso reale dell'affidamento familiare, fuori semplificazioni dietrologiche o percezioni distorte. Una posizione peraltro chiaramente prevista dal legislatore e che viene quotidianamente applicata da tutti i Tribunali per i minorenni del Paese.

Il fine è la tutela del minore d'età, il mezzo se necessario può essere anche l'affidamento familiare. Mai invertire il senso, ovvero immaginare che un progetto di sostegno tutelare abbia come fine l'affidamento familiare, perché il rischio più grosso di tale fraintendimento sarebbe che il mezzo a quel punto, perchè un mezzo ci dovrà pur essere, finirebbe per essere il minorenne e ciò è inaccettabile.

Se pertanto intendiamo, come è giusto che sia, l'affidamento familiare quale mezzo e non come fine, va da sé che tutti gli interventi, giurisdizionali, sociali, sanitari, educativi sottesi, devono avere tempi certi o comunque prevedibili ed essere costantemente monitorati nelle evoluzioni ovvero nelle involuzioni progettuali, rispettoso di tutti i soggetti, adulti e minorenni coinvolti.

L'opera che legittima più di altri un intervento limitativo o persino ablativo della responsabilità genitoriale, fuori da casi di oggettivo abbandono per cui si applicherebbe il diverso Istituto dell'adozione, è una mediazione tra linguaggi diversi, tra prospettive, percezioni, che di quel bisogno di cura emergono all'interno del nucleo, i tecnici e la magistratura minorile. A volte la vera difficoltà non sta nell'esercitare il potere nobile e difficile del giudizio, peculiarità dell'attività di un Giudice, ma nello scegliere di farsi piccoli piccoli e spiegare ai familiari, e a volte anche ai Servizi, le decisioni prese con parole semplici e la convinzione si assumere quella più tutelante, che quasi mai corrisponde a quella più facile da assumere, a protezione del minorenne.

Sappiamo già che l'affidamento familiare è come una casa che sempre più spesso sembra insufficiente per accogliere tutte le forme di disagio che avrebbe il compito di sostenere.

Sappiamo anche che non è con un mero trasferimento negli spazi dell'adozione che il problema troverebbe soluzione. Si dovranno pertanto destinare alcune stanze per le situazioni più complesse, come nei casi in cui l'affidamento può durare più di altri.

Luoghi però con regole certe, sintesi attente, procedure garantiste, azioni realmente tutelanti.

Allo stesso modo, gli spazi riservati all'adozione devono trovare luoghi più chiari anche per le cosiddette ' adozioni miti ', quelle ' in casi particolari', quali risposte a cristallizzazioni di famiglie sociali che si sono formate nel corso del tempo, riempiendo quelle terre di mezzo che non possono rimanere porti franchi di diritti e garanzie, per gli adulti e soprattutto per i minorenni interessati.