L’abolizione dell’abuso d’ufficio comporterebbe un grave vuoto normativo e potrebbe danneggiare anche la Pa. Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale nell’Università degli Studi di Milano, è chiaro su questo punto.

Professor Gatta, il tema dell’abuso d’ufficio è al centro del dibattito parlamentare, politico e accademico. Da penalista qual è il suo pensiero?

Ribadisco quel che ho detto durante la mia audizione in Parlamento: abolire l’abuso d’ufficio è una scelta radicale, che non condivido. Crea vuoti di tutela. Un esempio tratto dai concorsi universitari? La Cassazione ha di recente detto che “truccarli” non integra il reato di “turbativa d’asta”, relativo solo a beni e servizi, ma può integrare quello di abuso d’ufficio. Ecco, senza l’abuso d’ufficio mancherà una norma per punire chi violi norme di legge per favorire o danneggiare un candidato a un concorso per professore o ricercatore, per un dottorato di ricerca o per una posizione di dipendente amministrativo o di tecnico di laboratorio, oppure per una borsa di studio o per un posto letto in una residenza universitaria.

La paura della firma, a tutti i livelli, sembra ormai generalizzata. A proposito di università, lei che è stato direttore di dipartimento e commissario di concorsi avrà messo tante firme. Non ha avuto mai paura?

Parliamoci chiaro. Chi ha responsabilità e potere decisionale nella pubblica amministrazione deve avere una sana paura della firma, nel senso che deve controllare sempre quel che firma e, se ha dei dubbi, astenersi dal farlo e fare o chiedere di fare le opportune verifiche. Io ho fatto esattamente questo negli ultimi sei anni in cui ho diretto un dipartimento universitario, senza mai bloccare e rallentare le attività di quel dipartimento. E di carte ne ho firmate tante. Ora sono candidato alla carica di Rettore dell’Università degli Studi di Milano. Se venissi eletto, farei esattamente la stessa cosa. L’abolizione dell’abuso d’ufficio, unita alla limitazione della responsabilità erariale, può invece favorire nella pubblica amministrazione atteggiamenti superficiali. Senza quella “sana paura”, che induce a tenere gli occhi aperti, i controlli possono diminuire e la qualità dell’amministrazione peggiorare, assieme alla sua imparzialità. Con buona pace dell’articolo 97 della Costituzione e dell’etica pubblica. Sa cosa penso?

Dica pure…

Che la paura deve essere razionale, fondata, e che il problema si ridimensiona molto se si ha fiducia nella magistratura e nella capacità di pubblici ministeri e giudici di filtrare le denunce e di archiviare tempestivamente i procedimenti. La riforma Cartabia è andata proprio in questa direzione.

La vicenda di Ilaria Salis sta creando polemiche. Da un punto di vista tecnico quale soluzione ci potrebbe essere per la nostra connazionale in carcere in Ungheria?

Questa ragazza, laureata in storia proprio alla Statale di Milano, coinvolta in scontri in una manifestazione politica in Ungheria, è detenuta in quel Paese in condizioni di degrado ed è stata ritratta dai media con ceppi alle caviglie e manette ai polsi, davanti a un tribunale, tenuta al guinzaglio da una poliziotta, come una pericolosa terrorista. Riportarla in Italia è complesso, richiede azioni diplomatiche e lavoro da parte degli avvocati. Può venire in rilievo una decisione quadro del 2009 sul reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare. Ma a parte i tecnicismi, a me preoccupa quel che nel 2024 ancora può avvenire in Europa, come mostra la storia della nostra connazionale. Le conquiste della civiltà del diritto vanno difese, assieme ai diritti umani, perché arretramenti sono sempre possibili, purtroppo.

Lei ha un legame fortissimo con l’Università. Ha annunciato la sua candidatura come Rettore della “Statale” di Milano. Quale futuro immagina per uno degli atenei più prestigiosi d’Europa?

Metto al servizio della comunità accademica la mia esperienza di amministrazione, anche quella maturata nel governo Draghi, come consigliere della ministra della Giustizia Marta Cartabia, e nella Scuola superiore della magistratura, come vicepresidente, accanto a Giorgio Lattanzi. Ho avuto la fortuna, non comune, di lavorare in due diverse istituzioni del Paese con altrettanti presidenti emeriti della Corte costituzionale, di altissima levatura. Da loro ho imparato molto. L’università pubblica è oggi oppressa dalla burocrazia e da un processo di aziendalizzazione che, riversando sul personale docente adempimenti quotidiani, sta sottraendo tempo alla ricerca e alla didattica e sta spegnendo l’entusiasmo di chi ci lavora e deve, per vocazione, trasmettere passione agli studenti. Bisogna cambiare passo, lavorando dentro gli atenei per la semplificazione amministrativa, portando il tema all’attenzione del dibattito pubblico e dell’agenda politica. Quanto alla “Statale” di Milano, nel centenario della sua fondazione, l’ateneo ha tanti progetti in cantiere, a partire da un nuovo campus scientifico nell’area di Expo, dalla riorganizzazione di Città Studi e dal rilancio della medicina universitaria, anche veterinaria, nel Polo di Lodi, e dell’area umanistica. Vogliamo diventare una realtà d’avanguardia nel panorama italiano e internazionale, una presenza autorevole e viva nella società e nel dibattito pubblico, rinnovare i servizi per gli studenti e le nostre infrastrutture, anche tecnologiche, per proiettarci verso il futuro.

Obiettivi sempre più ambiziosi?

Dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni entusiasmo, conoscenza, coscienza critica e civile. Dobbiamo fornire strumenti al passo con il progresso scientifico per interpretare il presente e per costruire e governare il futuro nella società globale in cui viviamo, sempre più connessa e complessa. Per farlo alla Statale e negli altri atenei dobbiamo, però, come Paese, restituire serenità a chi lavora per la ricerca e per la formazione: aumentare i finanziamenti pubblici per l’università e la ricerca, investire su residenze e servizi per gli studenti, superare per quanto possibile il precariato dei ricercatori e degli assunti col PNRR e, non ultimo, aumentare la retribuzione del personale tecnico e amministrativo, in media tra i 1.300 e i 1.500 euro mensili, che è ai livelli più bassi nella pubblica amministrazione. A Milano, dove il costo della vita e di un’abitazione è ormai improponibile, molti lasciano il posto in università per andare a lavorare in altre amministrazioni pubbliche dove hanno maggiori possibilità di guadagno e di carriera. È normale? Penso di no e qualcosa, come Paese, dobbiamo fare, senza lasciare soli e inascoltati i sindacati. Nel dirlo a lei, sulla stampa, inizio a farlo, nel mio piccolo. Oggi lo faccio come candidato e domani, se sarò eletto, lo farò come Rettore.